Mafia nigeriana a Palermo: riti vodoo, unghie strappate alle donne, torture: i dettagli

13 Giu 2019 9:34 - di Gabriele Alberti

Blitz della Guardia di Finanza a Palermo. I finanzieri del Gico del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo hanno fermato quattro persone, accusate di appartenere ad un’associazione per delinquere transnazionale dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, alla tratta di esseri umani e allo sfruttamento della prostituzione di giovani donne provenienti dalla Nigeria. Le operazioni di polizia giudiziaria si sono svolte fra Palermo, Napoli, Dervio, Bergamo, concludendosi nella nottata con l’individuazione e la cattura del capo dell’organizzazione – già rifugiato politico – presso l’aeroporto di Orio al Serio (Bergamo).

Mafia nigeriana, macabri riti

L’indagine delle Fiamme Gialle, coordinata dalla Dda palermitana, ha “consentito di smantellare una organizzazione criminale, operante tra la Nigeria, la Libia e l’Italia, che ha costretto giovani donne nigeriane – a fronte della promessa di opportunità lavorative nel nostro Paese – ad assumersi un debito di 30 mila euro, quale pagamento del viaggio verso l’Italia e per l’avviamento al lavoro”.

Vulnerabilità psicologica

Approfittando del loro evidente stato di vulnerabilità psicologica, le giovani nigeriane erano sottoposte alla celebrazione di macabri riti ”Vodoo” posti a garanzia del debito ‘contratto’. “E per rendere l’assoggettamento delle vittime ancora più simbolico e potente, i rituali magici – eseguiti anche nel continente africano presso ”santuari e/o templi” (i cosiddetti ”shrines”) – avevano ad oggetto il sacrificio di animali, il prelievo di unghie, capelli e biancheria intima delle vittime”, dicono gli inquirenti.

Le donne venivano, poi, trasferite in Libia, dove erano costrette a permanere presso strutture di detenzione nella disponibilità dell’associazione criminale, per essere definitivamente imbarcate alla volta dell’Italia. Giunte nella Penisola, quindi, e accompagnate nei centri di prima accoglienza in Sicilia, venivano successivamente avviate alla prostituzione, con l’obbligo di riscattare progressivamente la somma concordata per riottenere la libertà ed evitare conseguenze lesive per loro e i propri familiari in Nigeria.

Secondo gli inquirenti a capo dell’organizzazione criminale c’era una donna “crudele”. Le indagini complessivamente svolte, sotto la costante direzione della Dda di Palermo, hanno consentito di “accertare come i fermati concorressero, sinergicamente e in piena condivisione d’intenti, nel reclutamento delle giovani ragazze in Nigeria, nella loro ”traduzione”, attraverso il Nord Africa, sino alle spiagge libiche dove, con l’utilizzo dei consolidati canali di migrazione illegale, venivano condotte in Italia e consegnate al capo dell’associazione (una donna nigeriana, T.E. di 35 anni, residente a Palermo)”.

Minacce di morte

Su questo territorio, la ”maman” provvedeva ad avviarle forzatamente alla prostituzione, spesso con minacce di morte e percosse, grazie al fattivo contributo di due sodali residenti in Campania e Lombardia, G.P. di anni 26 e G.S. di anni 29. La ”maman” si avvaleva, inoltre, del contributo di un cittadino italiano, G.M. di 78 anno, il quale – con la propria autovettura – si adoperava per la collocazione delle vittime destinate allo sfruttamento presso i luoghi di prostituzione del capoluogo siciliano, promuovendo un servizio ”dedicato” di trasporto da e verso i luoghi di sfruttamento. L’anziano fungeva anche da vedetta, segnalando alla ”responsabile” l’eventuale sopraggiungere di pattuglie delle Forze dell’Ordine.

Le indagini “hanno anche consentito di far luce su un articolato e lucroso sistema di trasferimento di denaro contante all’estero, denominato ”Euro to Euro”, utilizzato dalla compagine criminale per il trasferimento dei proventi illeciti grazie al concorso di due ulteriori cittadini nigeriani residenti a Palermo, denunciati a piede libero”.

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