L’ultrà morto, la moglie: “Non ha mai fatto male a nessuno”. Polemiche per il mancato stop alle partite
Lo chiamavano Dede gli amici della curva, ed era un capo ultrà del Varese. Ora di Daniele Belardinelli, 39 anni, gli amici, la moglie, il padre dicono solo cose buone. Ma ci sono quei daspo, uno nel 2007, poi rinnovato nel 2012, perché Dede si trovava sempre in mezzo agli scontri, fino all’ultimo assalto, che gli è stato fatale. Racconta la moglie: “Sapevo che si sarebbe trovato con gli amici per andare allo stadio. Andare allo stadio gli piaceva, certo, ma non ha mai fatto male a nessuno”. Interista, ma con una passione per il Varese. “Era uno dei leader dei Blood Honour – scrive la Gazzetta dello Sport – la curva del Varese, ragazzi di destra con il Como come rivale numero uno e un gemellaggio storico con i tifosi dell’Inter. Da anni Daniele era un riferimento per la curva biancorossa e per la società, che lo consultava nel dialogo tra club e ultrà. A separarlo dallo stadio, negli ultimi anni, soltanto i Daspo”. I vicini – riporta sempre la Gazzetta dello Sport – raccontano qualche episodio della sua vita, qualcuno parla di un ragazzo pronto ad aiutare, qualcun altro di un uomo che “si faceva rispettare, per amore o per forza”. Altra passione coltivata, oltre al calcio, la scherma corta, di cui Belardinelli era stato atleta, gareggiando anche in Russia.
Le indagini e gli indagati
A Milano sono già stati fatti alcuni arresti per l’assalto di un centinaio di ultrà di Inter, Varese e Nizza al gruppo di supporter napoletani. Sono 9 gli indagati, per tutti l’accusa è rissa aggravata. “Un’azione squadristica ignobile” la definisce il Questore, Marcello Cardona, un passato da arbitro in serie A. Un attacco organizzato all’angolo tra via Novara e via Fratelli Zoia, a due chilometri dallo stadio di San Siro che mercoledì sera ha ospitato la partita tra Inter e Napoli. Durante questi scontri Belardinelli è stato investito da un suv il cui conducente non è stato ancora individuato.
A gennaio il prefetto di Milano Renato Saccone intende convocare un comitato sicurezza che vedrà il coinvolgimento delle squadre di calcio milanesi, Inter e Milan. Saccone ha anche precisato che “la prossima partita in casa dell’Inter con tutto il pubblico sarà a metà gennaio”. L’obiettivo del confronto con le squadre, ha anche chiarito è “isolare i violenti”, perché “i comportamenti criminali non li devono pagare tutti”. A chi gli domandava se avesse intenzione di incontrare anche le tifoserie, il prefetto ha ricordato che a Milano c’è una lunga tradizione di rapporto con le squadre e che per ora l’incontro sarà con queste ultime.
Il figlio di Paparelli: sfiorato il limite della civiltà
Il mancato stop al campionato fa però discutere, e sono soprattutto i parenti di coloro che hanno perso la vita per una partita di calcio a chiedere più coraggio rispetto all’escalation di violenze dentro e fuori gli stadi: ”E’ una assurdità paurosa, nel pieno delle feste di Natale. Tra cori razzisti e morti fuori dallo stadio, abbiamo assistito ad un campionato da interrompere immediatamente. Stiamo sfiorando il limite della civiltà”, dice Gabriele Paparelli, figlio di Vincenzo, colpito alla Stadio Olimpico da un razzo sparato da un tifoso romanista. “C’è gente che non dovrebbe andare allo stadio”, è il parere di Giorgio Sandri, padre di Gabriele, il tifoso laziale ucciso l’11 novembre 2007 in una stazione di servizio da un proiettile sparato dall’agente di polizia Luigi Spaccarotella.
La conferenza stampa di Spalletti
Il tecnico dell’Inter Luciano Spalletti richiama tutti alla correttezza e al rispetto: “Fermarsi per i cori razzisti? Potrebbe essere una soluzione momentanea. Ma è qualcosa che è già successa, sono tanti gli episodi accaduti, ora bisogna fare qualcosa di diverso”. E aggiunge: “Ci dispiace per Koulibaly e siamo con lui, siamo al suo fianco come al fianco di tutti quelli che vengono presi di mira durante le partite. Non si può offendere un giocatore, o un allenatore, per 90′ minuti -prosegue il tecnico di Certaldo in conferenza stampa-. Serve avere un atteggiamento sempre corretto nello stare in campo e nell’essere persone di sport”. “E’ qualcosa che accettiamo quella di andare a giocare con lo stadio chiuso perché ci sembra corretto il fatto di avere comportamenti differenti: vogliamo vivere le partite in un contesto differente come succede in diversi paesi”, conclude Spalletti.