Arce, parla papà Guglielmo: “Serena sta finalmente per avere giustizia”

13 Gen 2018 20:08 - di Antonio Pannullo

Troviamo Guglielmo Mollicone nella sua cartoleria di Arce, come sempre. Le festività natalizie stanno passando, ma lui non se ne è neanche accorto,come sempre da quel 2001 quando Serena, sua figlia diciottenne, gli fu strappata da mani assassine che non sono state ancora punite, ma che probabilmente lo saranno molto presto. Quello di Serena Mollicone è stato uno dei delitti più atroci del Dopoguerra: l’ultima volta che fu vista viva, la ragazza stava entrando in una stazione dei carabinieri per denunciare uno spaccio di droga. E a farla entrare fu quel Santino Tuzzi, che nel 2008 si suiciderà con un colpo al petto, proprio tre giorni prima del confronto con il maresciallo Franco Mottola, allora comandante della stazione di Arce, oggi indagato per omicidio e occultamento di cadavere insieme al figlio e alla moglie. Altri due carabinieri che all’epoca lavoravano nella stazione Arce sono stati recentemente indagati, uno per istigazione al sucidio e uno per favoreggiamento. Entrambi si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

“Tutta la stazione era complice, anche se non attivamente”, dice Guglielmo Mollicone. La cosa insiegabile è perché il maresciallo e la sua famiglia, tutti indagati per omicidio, siano ancora tranquillamente a piede libero. E tutto indica che i carabinieri ne sappiano molto sul feroce assassinio della povera ragazza. Per anni non ne hanno parlato, le indagini non andavano avanti. Perché? “È come la tela di Penelope”, risponde Guglielmo, “il giorno tessevano tela e la notte la disfacevano. Per anni non si è andati avanti”. Evidentemente qualcuno si è reso conto che la cosa non poteva essere più insabbiata e ha agito di conseguenza.

Ricostruiamo brevemente la vicenda. Il 1° giugno Serena va alla stazione del carabinieri di Arce per denunciare lo spaccio di droga nel paese. Tra l’altro, ad Arce, paese di poche migliaia di abitanti, c’erano stati in pochi mesi ben sette morti per droga, senza che i carabinieri della locale stazione avessero mai posto rimedio al diffondersi del giro di droga. Serena citofona, e Santino Tuzzi, dopo aver chiesto il nome e probabilmente dopo averla riconosciuta, la fa entrare. Dopo di che di Serena sparisce ogni traccia. “Quel giorno – dice Guglielmo – le telecamere della stazione non funzionavano, Il giorno prima e il giorno dopo sì, quel giorno no. Così come i registri di entrata, che ora sono all’esame della Procura perché a quanto pare risultano contraffatti”. La sera Serena non torna a casa, e il padre comincia a preoccuparsi. Verso le 22, o poco dopo, decide di recarsi dai carabinieri per denunciarne la scomparsa. Ora, come tutti sappiamo, la sera le stazioni dei carabinieri nei piccoli centri non funzionano, e se si citofona risponde il comando più vicino. Ma quella sera no. “Il maresciallo sembrava che mi stesse aspettando – rivela ancora Guglielmo Mollicone -. Mi ha aperto tranquillamente, e ha raccolto la mia denuncia”.

Due giorni dopo, in comune di Fontana Liri, in località Anitrella, a nove chilometri dalla caserma di Arce, e in un boschetto già ispezionato in precedenza dai carabinieri, un appartenente alla Protezione civile ha trovato il corpo senza vita di Serana con il volto coperto da una busta di plastica con la quale verosimilmente era stata soffocata. Altra cosa strana, malgrado il fatto che sul luogo del ritrovamento fossero giunti i carbinieri di Fontana Liri, l’inchiesta fu presa dai carabinieri di Arce, giunti dopo. Per riconoscere Serena, poi, fu chiamato dai carabinieri di Arce un parente che non la conosceva bene, e che la riconobbe malgrado la busta di plastica che la ricopriva. Mistero nel mistero. Ci sono poi altri fatti molto strani e preoccupanti: cellulari ritrovati in posti già ispezionati, la strana visita di Franco Mottola a casa Mollicone, senza mandato, per perquisire l’abitazione, e soprattutto la cosa più abbietta di tutte: la convocazione di Guglielmo Mollicone poche ore prima del funerale della figlia nella caserma di Arce per firmare un verbale di nessunissima importanza, ossia il fatto che era stato ritrovato il cellulare di Serenza in un cassetto. “Sì, mi convocarono in caerma poco prima del funerale – dice Guglielmo – ma anziché farmi firmare e basta, mi fecero accomodare nella sala d’aspetto per oltre due ore. È stata una cosa ignobile. Riuscii ad arrivare a seppellire mia figlia solo perché il rito senza di me non era iniziato”. Ai depistaggi, insomma, si aggiunge l’intimidazione verso un padre che perso la figlia in modo tanto atroce, ma che comunque non si è arreso, tanto che oggi sta per vedere gli assassini della giovane alla sbarra.

E a proposito di insabbiamento e depistaggio, c’è la questione dello strano suicidio di Santino Tuzzi: i carabinieri cercarono subito di attribuire il suicido dell’uomo a presunti e inesistenti “dispiaceri amorosi”. Ma amici e parenti di Santino insorsero, spiegando che non c’era nulla di tutto questo: Santino aveva messo in essere una serie di procedure che non facevano parte di una persona che avesse intenzione di uccidersi. Strano suicidio, poi: Tuzzi si è sparato al petto anziché alla testa, e la pistola è stata trovata a una certa distanza. Ma neanche allora la verità è venuta fuori, neanche allora, di fronte alla morte sospetta di un carabiniere, si decise di approfondire le indagini e di tentare di scoprire la verità su questa brutta storia, che è meno complicata di quanto sembri. Anzi, è semplicissima. Tra l’altro, solo l’anno scorso fu accertato che Serena si trovava davvero nella caserma di Arce il 1° giugno. In 17 anni ancora non si è scoperto quello che avrebbe potuto essere scoperto nel giugno 2001, e questo grazie ai silenzi, ai depistaggi, agli insabbiamenti che si sono voluti mettere in atto per coprire i veri responsabili. Guglielmo Mollicone ci tiene a sottolineare che il nuovo comandante della stazione di Arce si è messo immediatamente a disposizione  per cercare di scoprire la verità, e questo significa che probabilmente l’Arma si è resa conto, magari tardivamente, che questa brutta storia rischia di macchiare indelebilmente l’immagine adamantina di un corpo a cui tutti gli italiani sono affezionati, e si sta dando da fare per chiarire tutto.

Un altro particolare che fa rendere conto di quale fosse l’atmosfera da quelle parti verso chi voleva scoprire la verità, fu il fatto che in occasione della esumazione del corpo della povera Serena, nel marzo dell’anno scorso, il papà insieme ad altri amici, dovette vegliare tutta la notte per evitare che il corpo sparisse o le prove fossero in qualche modo alterate. “Devo dire però – ricorda Guglielmo – che mentre effettuavamo questa triste veglia, la pattuglia dei carabinieri passò più volte per sapere se andasse tutto bene”. E fu proprio dalla successiva perizia che emerse quello che ha dato un nuovo impulso alle indagini: cioè il fatto che Serena aveva una ferita alla testa compatibile con lo stipite di una porta nella caserma, stipite che poi fu fatto sparire. Ma che fu ritrovato. L’ipotesi è questa: che qualcuno dentro la caserma abbia fatto sbattere la testa di Serena contro questa porta e l’abbia tramortita. Serena è svenuta e i presenti l’hanno creduta morte. Quando si sono accorti che respirava ancora, anziché soccorrerla e confessare tutto, l’hanno brutalmente soffocata con il sacchetto di plastica. Attesa la sera, poi l’hanno trasportata dalla caserma al bosco dell’Anitrella, per nove chilometri, certi dell’impunità. Infatti, chi si sarebbe allarmato se avesse visto un’auto dei carabinieri transitare? Ma finalmente la verità sta per venire a galla: a marzo la Procura deciderà se mandare gli indagati a processo o se archiviare la vicenda. “Ho molte e fondate speranze che Serena avrà giustizia dopo tanti anni”… conclude papà Guglielmo.

Commenti

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  • Lucia Petrocchi 14 Gennaio 2018

    Guglielmo ti sono molto vicina