L’11 settembre: quel che avremmo potuto fare e che non abbiamo fatto
Ecco, quel giorno era l’11 settembre 2001. Ed era una splendida giornata di fine estate. A New York come a Roma. Tanto luminosa e placida da agevolare la pennichella e da non far concedere perciò troppa attenzione alla notizia di un aereo che si era schiantato contro una delle Torri Gemelle a Manhattan. La torre Nord. Un piccolo aereo, si leggeva, sull’ultim’ora Rai intorno alle 15. Un incidente incredibile, ma pur sempre un incidente. Lontano. Nel cielo mattutino della Grande Mela. Roba di cronaca. Ecco, quel giorno era l’11 settembre 2001. E però la placida tranquillità del sonnecchioso pomeriggio romano s’interruppe bruscamente alla nuova notizia di un ennesimo aereo che, a meno di mezz’ora dal primo, s’era stavolta schiantato sull’alta Torre, quella Sud. No, non era un incidente. Non poteva essere e non lo era. Era un attacco. Il primo e più pesante attacco all’America mai scatenato sul suo suolo. Pochi minuti ancora ed ecco che arrivava come uno schiaffo la notizia più incredibile di tutte: un terzo aereo aveva centrato un’intera ala del Pentagono. Il simbolo della Superpotenza, del suo orgoglio, della sua immensa forza era stato colpito. Ecco, quel giorno era l’11 settembre 2001. Che da quel momento fu solo e soltanto l’11 settembre. Col suo carico enorme di lutti e di lacrime e di paure. Un giorno di acuto dolore che probabilmente avrebbe dovuto farci capire. Che, forse, avrebbe meritato maggiori riflessioni. Sulla genesi di una azione così determinata e violenta. Invece dell’isterìa di una reazione immediata verso un nemico individuato a prescindere. Certo, è il senno del poi. Ma è anche un insegnamento per il nostro presente e il nostro futuro. Perchè, forse, con una risposta ragionata e mirata avremmo davvero potuto eliminarli i bacilli che generano il terrorismo assassino. Invece di coltivarli e ritrovarceli, sedici anni dopo, dietro l’angolo di casa.