Milano e Torino, le nostre Molenbeck: le polveriere taciute dai buonisti dem

9 Lug 2017 11:47 - di Ginevra Sorrentino

Milano e Torino, le nostre Molenbeck: città italiane dove un intero quartiere esteso sul territorio è diventato presidio di comunità di immigrati, clandestini, abusivi, che delinquono e controllano il territorio. Sono porti franchi delle nostre metropoli dove, improvvisamente, da una strada all’altra, da una piazza a un crocevia, si abbandona ilBelpaese e ci si addentra in un suk.

Le nostre Molenbeck: ecco Milano

E allora entriamo nel dettaglio, riprendendo reportage di denuncia che da Il Figlio a il Giornale, tutti hanno letto: compreso i buonisti dem e gli inesperti amministratori grillini, che sulla questione tacciono. Fingono di non sapere, mentre il fenomeno si radica sempre di più su un terreno sociale paludoso quanto pericolosamente scivoloso. Come quello di piazzale Selinunte, che insiste nel capoluogo lombardo un tempo da bere, dove un intricato coacervo di vicoli e di strade abbracciano, stringendo nella loro morsa quartieri e condomini, che hanno ribattezzato quel reticolato  “il quadrilatero della paura”: quello che va da Via Paravia via Tracia, da via Maratta, a via Gigante, e dove degrado e microcriminalità dominano incontrastate. Dove, come riporta il Giornale anche in queste ore, <<Palazzoni malmessi dell’Aler, dei veri e propri labirinti nei quali, in certi casi, è possibile accedere anche attraverso entrate “secondarie” che passano attraverso le cancellate. Edifici caratterizzati da un altissimo tasso di abusivismo, quasi 3.400 alloggi su 38.500 secondo le ultime stime, il ben noto racket degli appartamenti sfitti>>. Migliaia di stranieri – per lo più egiziani e maghrebini – con le donne a spasso per le strade milanesi in burqa, quando non addirittura in nijab; con clandestini e irregolari che controllano il territorio e dove, come scrive il quotidiano milanese, <<il venerdì mattina è possibile vedere molti musulmani avviarsi verso il Palasharp per la jumma, la preghiera del venerdì, anche se alcuni residenti affermano di averne visto diversi infilarsi in dei portoni, ipotizzando la presenza di qualche sala di preghiera abusiva>>. Un territorio che sfugge al piano sicurezza del sindaco Sala e che già nel 2009 ha rivleato tutto il suo esplosivo potenziale con il libico Mohammed Game, che si fece saltare in aria nella caserma dei carabinieri di “Santa Barbara” senza riuscire a ferire nessuno se non se stesso; mentre il marocchino Nadir Benchofri venne arrestato nel dicembre del 2016 mentre progettava un attentato in un centro commerciale. 

Tra le banlieu di Torino come nella Casbah di Algeri

A Torino basta passare nella zona compresa tra la strada del Fortino, via Cirio, via Lanino, canale Molassi, piazza San Pietro in vincoli fino ad arrivare all’altezza di via Cigna. per rendersi conto come le banlieu esistano ormai anche da noi, con tutto il loro potenziale di degrado e rischi per la sicurezza che di volta in volta si annidano tra i banchi dei vari suk arabi disseminati più o meno abusivamente per la città o nei portoni dei palazzoni polari, alveari totalmente sotto il controllo di clandestini e irregolari. Quegli stessi che mesi fa sono scesi in piazza al grido di Allah ci guiderà nella vendetta in risposta all’esplosione di alcune bombe carta lanciate da alcune palazzine del Moi. Dunque, l’Italia ha la sua banlieue anche a Torino, rigorosamente pronta ad esplodere: del resto, l’ex villaggio olimpico della città sabauda, dove si è scatenata una guerra civile tra residenti e immigrati, è un microcosmo in cui povertà, emarginazione, razzismo, violenza rischiano di regalare un pezzo di Torino all’Islam radicale, quello che strizza l’occhio all’Isis e al fondamentalismo jihadista. Tra i giovani, alcuni addirittura giovanissimi, c’è chi lavora in nero, chi campa alla giornata vivendo di espedienti, chi spaccia, chi semplicemente non fa nulla, per tutto il giorno, covando odio sociale e rancore quotidiano.

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