“In Cecenia non ci sono gay”: scatta la protesta politicamente corretta

12 Apr 2017 8:28 - di Redazione

Rastrellati, detenuti etorturati m speciali prigioni-lager o uccisi dai loro stessi familiari: in Cecenia basta il sospetto dell’omosessualità per essere trattati come “cani, che non hanno il diritto di vivere”. Il giornale indipendente Novaja Gazeta copre la piccola regione caucásica da oltre 25 anni e ha numerose fonti. Anna Politkovskaja e molti altri suoi giornalisti sono stati uccisi per i loro reportage. Perciò, quando lo scorso primo aprile, Elena Milashina ha pubblicato l’inchiesta “Delitto d’onore” sulle detenzioni di centinaia di uomini gay e, in almeno tre casi, uccisioni come parte di una strategia di “pulizia preventiva”, nessuno ha messo in dubbio l’autenticità delle testimonianze raccolte, si legge su “la Repubblica“.

Proteste sul trattamento dei gay in Cecenia

Anzi, la comunità internazionale, a partire dall’Italia, è insorta e si è mobilitata. «I pestaggi iniziano non appena ti portano dentro. Gli elettro shock, te percosse con i tubi di plastica. Ti colpiscono sempre sotto alla vita: sulle gambe, sui fianchi, sul sedere. Ti dicono che sei un cane senza il diritto di vivere», ha raccontato un sopravvissuto alle torture. Un altro: «Mi portavano in carcere regolarmente, mi picchiavano , deridevano e umiliavano. Volevano che denunciassi altri gay . Dopo stavo dagli amici un paio di giorni finché le ferite non scomparivano un po’. Solo allora tornavo a casa. Dicevo che ero stato coinvolto in una rissa. L’ho fatto per due anni».

Lobby gay all’attacco della Russia

A parlare alla Novaja Gazeta sono stati cittadini comuni, leader religiosi vicini al governo, personalità televisive. Tutti sotto rigoroso anonimato. Nel Caucaso rivelare la propria omosessualità, scrive il giornale, equivarrebbe a una sentenza di morte. Tuttavia, in una comunità così piccola come quella cecena, i pettegolezzi corrono veloci e c’è poca possibilità di scampo. Si finisce in carcere e talvolta si muore. Nel silenzio persinò dei familiari. Per Alvi Karimov, portavoce del leader ceceno Ramzan Kadyrov, «è impossibile opprimere chi semplicemente non esiste nella nostra Repubblica». «Se ci fossero persone così in Cecenia, i loro stessi familiari li manderebbero in posti da cui non c’è ritorno», è stata la scioccante reazione ufficiale. Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha replicato che indagare su queste accuse è «materia delle forze dell’ordine», mentre il capo del Consiglio russo per i diritti umani Mikhail Fedotov le ha definite «mostruose» e necessarie di «una verifica approfondita». La protesta si è allargata oltre i confini della Russia con in prima linea organizzazioni come Amnesty Internazional e Human Rights Watch. In Italia a lanciare un appello per un’inchiesta è stata l’Arcigay. Immediati le condanne da parte dei politici italiani.

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