Fillon non molla? Il suo “ministro degli Esteri” gli dice addio
Alla fine Fillon resterà da solo. La decisione di rimanere candidato alle presidenziali, malgrado lo scandalo del presunto lavoro fittizio della moglie, sta creando malumore tra i suoi stessi collaboratori. Appare una scelta sucida, non solo per il suo futuro politico, ma per le stesse sorti dei républicains il partito erede della tradizione gollista. I suoi hanno cercato di dissuaderlo, ma niente: Fillon non si schioda.
Qualcuno comincia a perdere la pazienza, come il rappresentante per gli affari esteri e internazionali della sua campagna, Bruno le Maire. L’esponente neogollista ha polemicamente annunciato le sue dimissioni. «Credo nel rispetto della parola data», ha rimarcato, con un chiaro riferimento a quando Fillon aveva in passato promesso di ritirarsi in caso di incriminazione. Considerato il futuro ministro degli Esteri in caso di vittoria di Fillon, Le Maire avrebbe cercato oggi di convincere il candidato a ritirarsi, secondo quanto scrive Le Figaro.
Il caso Fillon, al di là, del profilo personale della sua disavventura giudiziaria, è il sintono eloquente della crisi della destra “moderata” francese. Una crisi che parte da lontano, precisamente dalla caduta di Sarkozy e dalla sua mancata rielezione alla presidenza della repubblica nel 2012. Certo, neanche i socialisti se la passano bene. Ed è clamorosa la rinuncia di Hollande a ricandidarsi: non è mai accaduto, nella storia della Quinta Repubblica, che un presidente uscente non si sia ricandidato per un secondo mandato. I partiti “tradizionali” sono in crisi. E l’opposizione all’establishment di formazioni come il Front National di Marine Le Pen procedono con il vento in poppa