Dal carcere di Milano alla Siria: così si è radicalizzato il giovane foreign fighter
Si sarebbe radicalizzato in carcere e, dopo essere partito per la Siria per combattere con l’Isis, avrebbe continuato a fare proselitismo in Italia, cercando di reclutare altri giovani. È quanto sta emergendo nel corso del processo in contumacia che si sta svolgendo a Milano a carico di Monsef El Mkhayar, il 21enne di origini marocchine accusato di terrorismo internazionale e attualmente, per quanto dato sapere, ancora in Siria. El Mkhayar è considerato il più giovane foreign fighter a essersi arruolato con i terroristi.
Le minacce per reclutare altri giovani
«Vieni qua anche tu in Siria o ti ammazzo», sarebbe stata la minaccia mossa alcuni mesi da El Mkhayar a un giovane connazionale che vive nel milanese e che, come lui, in passato era stato ospite di una comunità di accoglienza per minori. L’episodio è emerso dalle testimonianze rese nel corso del dibattimento da un dirigente della Digos e da un responsabile della comunità. La vicenda è venuta alla luce grazie alla denuncia del giovane minacciato, che «si è spaventato e per questo si è subito rivolta alla Digos», ha spiegato il responsabile della comunità. Non è il primo tentativo di reclutamento che emerge dalle indagini sul ragazzo, partito per la Siria insieme all’amico Tarik Aboulala, anche lui marocchino, di cui si è poi saputo che è morto in combattimento. In precedenza, a essere minacciato perché partisse era stato un ragazzo egiziano, anche lui ospite della comunità.
L’arruolamento in Siria, coinvolgendo l’amico «mite»
È stato ancora il responsabile della comunità a raccontare che Monsef El Mkhayar «prima di entrare in carcere assumeva droghe, beveva e fumava, quando ne uscì era completamente cambiato e parlava solo di religione». «Abbiamo avuto in carico lui e Tarik Aboula dai servizi sociali del Comune di Milano. Monsef è stato con noi dall’aprile del 2010 con varie alternanze di dimissioni, carcere e un periodo con la zia in Piemonte», ha detto ancora il teste, spiegando che lui e Tarik «erano due persone molto diverse». «Tarik era una persona mite, molto tranquilla, che ha fatto il suo percorso in modo encomiabile all’interno della comunità, prendendo la licenza media e poi frequentando un corso professionale da meccanico. Mi sono stupito molto – ha commentato l’uomo – quando ho saputo che era partito per la Siria». «Monsef invece – ha chiarito il responsabile della comunità – aveva comportamenti molto aggressivi, era violento, sempre ai limiti di fatti delinquenziali. Aveva accumulato denunce per spaccio e per un’aggressione a un operatore».