Un libro ci svela i killer del meridione (e il bluff di Renzi sulla Sa-Rc)

4 Nov 2016 12:33 - di Luca Maurelli

I cento passi non sono solo quelli che a Cinisi – nella profonda Sicilia oscurata dalla mafia – dividevano la casa di Peppino Impastato da quella del boss Gaetano Badalamenti. Sono anche quelli che fino a poco tempo fa, in pieno centro di Roma, separavano Palazzo Chigi da un elegante bar, l’Antico Caffé Chigi, raffinato crocevia di investimenti, rapporti politici e riciclaggio di denaro sporco della ‘Ndrangheta. Li ha contati, uno per uno, un giornalista di “Panorama”, Carlo Puca, che di passi ne ha macinati tanti negli ultimi mesi, in ossequio alla vecchia scuola del cronista di strada che va dove lo porta la curiosità e che oggi sta scomparendo in favore di quello da tastiera che va dove lo porta il google. Nel suo libro “Il Sud deve morire” (Marsilio, pp.303), al termine di un lungo viaggio nei luoghi-simbolo (ma in gran parte dei casi misconosciuti) che descrivono bene la disfatta meridionalista, Carlo Puca si schiera decisamente per l’eutanasia. Che in questo caso è una provocazione, non un delitto. A quello ci hanno pensato in tanti altri.

Il meridione che deve morire per rinascere

«Ecco, è inutile illudersi: alle attuali condizioni, non rimane alcuna speranza di vederlo finalmente in salute; il Meri­dione rimarrà eternamente allettato. Allora tanto vale farlo crepare, il mio Sud, per risolvere le sue pene e affinché dal suo ricordo possano almeno rigenerarsi le sue energie più sane, svincolate dalle catene della mediocrità, del malaffare e del pregiudizio». Il sud, dunque, deve morire, ma il sottotitolo ci anticipa un’inchiesta di Puca che va molto oltre l’auspicato necrologio: “Mandanti, esecutori e complici di un delitto (quasi) perfetto”. Quasi, perché qualcuno – come il giornalista “terrone” di cui sopra – ancora ha voglia di interrogarsi sul morto che sta sempre uguale in salute, almeno secondo la stampa italiana, che ormai ignora completamente la questione meridionale, come fosse una cancrena che non spurga.

Da Lampedusa a Quarto

Il viaggio di Puca parte da Lampedusa e da una citazione del suo abitante più illustre, Domenico Modugno, per raccontare l’isola dell’accoglienza della quale si parla solo per raccontarne imprese eroiche di migranti che sopravvivono o immani tragedie consumatesi nel buio delle coste alte e rocciose. «E meno male che è arrivato l’Orso d’oro di Berlino a pre­miare Fuocoammare, il film di Gianfranco Rosi su un luogo – dice nel libro Pietro Bartolo, il medico condotto dell’isola – che non ha nemmeno un cinema. I fari dell’informazione si erano voltati verso Grecia, Macedonia, Turchia; senza l’Orso d’oro sarebbero rimasti puntati su quella parte. Eppure Lampedusa per i migran­ti c’è sempre, anche a Natale…». Ma per gli italiani? «In assenza di uno Stato regolatore e compassionevole, per la capitale del Mediterraneo (altro che isola minore) le distanze significano anche tariffe ultramaggiorate: la benzina è la più cara d’Italia, gas ed elettricità costano un terzo in più rispetto a Palermo. È la beffa finale per un’isola che “s0ffre” in solenzio». Come Castelvolturno, che non è un’isola ma un atollo di degrado sub-meridionale, molto sub e poco tropicale. Puca è stato anche lì, in quel territorio di settantadue chilometri quadrati “martoriato da migliaia di edifici abbandonati, fatiscenti, facili da occupare e in preda ai clandestini”, una zona immortalata, nel suo squallore, dai film di Matteo Garrone e per ultimo, da “Indivisibili” di Edoardo de Angelis, premiato a Venezia. Si scende ancora, verso Papasidero, provincia di Cosenza, dove un parco archeologico e naturale tra i più belli d’Europa, diventato patrimonio dell’umanità, non porta reddito. «Bisognerebbe che il geoparco diventasse anche patrimonio economico di lucani e calabresi», scrive Puca, che invece non sanno sfruttare quel tesoro. E il paese si spopola e perfino gli scheletri preistorici, di inestimabile valore, emigrano verso altri musei. Poi c’è la Barletta di Mennea, travolta da scandali e morti bianche, la valle del petrolio di Viggiano, dove l’oro nero regala solo briciole di sviluppo al territorio, quindi la devastata L’Aquila del terremoto che non crea ricchezza, come sostiene qualcuno, ma solo desertificazione.

I killer e i mandanti politici

Poi ci sono i mandanti, come i politici,  per i quali il Mezzogiorno “è una vacca da mungere elettoralmente, per i mafiosi un osso da spolpare economicamente, per i nordisti una carogna da seppellire definitivamente, politici, frivoli e superficiali, che ostentano un posticcio sentimentalismo di maniera per vendersi meglio ai più forti”. E i peggiori, spiega Puca, sono proprio i meridionali, che in Parlamento “amano esercita­re tra colleghi la cosiddetta chiacchiera morta, se potessero, tirerebbero fuori pure un mazzo di carte per giocare a briscola, com’è in uso nei bar di paese tra amici­nemici”. A questo punto, come biasimare Renzi che nomina, come responsabile delle politiche per il sud, un simpatico nativo di Cuneo, il  ministro per gli Affari regionali Enrico Costa? Si scende e si sale, nel libro, tra comuni cinquestelle in odore di voto mafiosi, come Quarto, alla descrizione dei treni fantasma delle località turistiche calabresi, come Scalea e Diamate, dove vincere al bingo è più facile che prendere una corsa in orario, come i Sicilia, dove perfino le strade sono scommesse storiche perdute al tavolo di Cosa Nostra. «Eeh, e cosa vuoi che sia! È il Sud, ragazzo…».  E cosa vuoi se anche Renzi si riempie la bocca di promesse storiche come l’inaugurazione della Salerno-Reggio Calabria, bersaglio di sistematiche e cadenzate promesse di tutti i premier e i ministr al governo negli ultimi trent’anni. «Entro il 2015 tutti i cantieri avranno un’accelerazione definitiva e al massimo il prossimo anno concludiamo i lavori», disse il presidente del Consiglio. Poi prese la parola il suo ministro Delrio: «Nel 2016 completeremo le quattro corsie, ma, lo ammetto con molta onestà, non finiranno i lavori complementari». Così è, se vi pare.

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