Sisma: il peggio di sé non l’hanno dato i vegani, ma gli atei. Tutti contro la Chiesa

31 Ago 2016 14:00 - di Redattore 54

Abbiamo letto di tutto. Anche post cancellati dagli stessi estensori. Come l’attribuzione del terremoto al karma che colpirebbe chi mangia animali. Tutta colpa dell’amatriciana quindi. O come mettere in relazione il sisma ai peccati contemporanei, tra cui le nozze gay. Enormità, ma anche casi singoli. La tendenza che si è manifestata in modo diffuso e costante è stata invece un’altra. Accanto alla solidarietà, allo sgomento, al dolore per le vittime da subito hanno fatto massa critica post e commenti sui social tesi a colpire la Chiesa cattolica. La Cei ha subito stanziato un milione per gli aiuti ai terremotati. Apriti cielo: troppo poco cari preti, aprite i cordoni delle borse. E l’attico di Bertone? E perché non mettere gli sfollati nelle parrocchie? E parliamo di briciole, vergogna… In realtà ci sono state e ci saranno anche collette nelle parrocchie (già indette per domenica 18 settembre) ma questo particolare non ha colpito la fantasia di chi pratica lo hate speech anticleriale.

E andiamo avanti: arriva il giorno dei funerali delle vittime della provincia di Ascoli. Omelia del vescovo Giovanni D’Ercole ai funerali solenni: “Ho chiesto a Dio: Signore e ora che si fa?”. Una frase che voleva esprimere l’avvilimento, lo sconforto degli essere umani dinanzi al terremoto. Accompagnata comunque dall’esortazione a gridare la propria sofferenza per confidare poi nel coraggio e nella solidarietà. La frase, isolata dal contesto, è finita anch’essa nel tritacarne dei commenti dei social. Il vescovo non sa che fare? I preti prendono atto che Dio è morto? La crisi della fede contagia anche le gerarchie vaticane? Teologia d’accatto unita a un corrosivo spirito laicista che su tutto si sente in dovere di discettare. In realtà, a coloro che hanno attribuito a Dio sia la disgrazia delle tante vittime sia il “miracolo” delle vite salvate ha risposto il saggista Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose,  su La Stampa: il vero cristiano non attribuisce a Dio il nome di “destino”.  “La nostra vita – ha scritto Enzo Bianchi – è stata affidata alle nostre mani, mani fragili, mani capaci anche di commettere il male, mani più sovente responsabili di omissioni nei confronti del bene. La tradizione ebraica – che per secoli ha dovuto tragicamente confrontarsi con l’abisso del male, sovente compiuto dagli esseri umani, pur creati a immagine e somiglianza di Dio – ha elaborato la nozione dello tzim-tzum, del “ritrarsi” di Dio di fronte alla creazione per fare spazio a questa realtà autonoma. Secondo i rabbini, Dio nella sua onnipotenza è riuscito a creare una montagna che neppure lui è in grado di scalare: questa montagna che ormai si erge di fronte a Dio è l’essere umano nella sua libertà, ma è anche la creazione nella sua autonomia. Dio non ha abbandonato la creazione, non si è isolato impassibile altrove, ma per garantire all’essere umano pienezza di libertà e per non esercitare alcun tipo di costrizione, non si nasconde cinicamente dietro forze caotiche e cieche, come un regista che mette in scena la storia a suo piacimento”. Tutto troppo complicato, ovviamente, per essere commentato in 140 caratteri.

Ma a scatenare le reazioni più esagerate è stato il concetto espresso dal vescovo di Rieti durante i funerali delle vittime del Reatino: “Il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell’uomo!”. Frase che concludeva un pensiero ovviamente più complesso: “I paesaggi che vediamo e che ci stupiscono per la loro bellezza sono dovuti alla sequenza dei terremoti. Le montagne si sono originate da questi eventi e racchiudono in loro l’elemento essenziale per la vita dell’uomo: l’acqua dolce. Senza terremoti non esisterebbero dunque le montagne e forse neppure l’uomo e le altre forme di vita”. Anche il vescovo di Ascoli, chiedendo ai fedeli di non fare guerra alla natura ma di assecondarla, aveva voluto esprimere lo stesso concetto. Ma nelle parole di monsignor Domenico Pompili – che in ogni caso ha scelto un taglio troppo teologico per un’omelia che doveva essere di conforto ai parenti delle vittime – è stato visto un “giustificare” la natura “matrigna” per addossare ogni colpa della catastrofe agli esseri umani. Il tema accompagna la riflessione umana da secoli, anche prima dell’esistenza dei social con le sue legioni di “webeti”, ma stupisce l’accanimento contro un vescovo che non ha detto nulla di diverso dai tanti che hanno scritto, sempre sui social, che in Giappone una scossa del sesto grado non avrebbe fatto vittime, addossando anche loro ogni colpa alle case prive di adeguamento sismico… E allora? Allora, al fondo di questa tendenza, vi è da un lato un laicismo esasperato e dall’altra la comoda scorciatoia di attribuire a Dio, a un qualunque Dio, esterno alle nostre faccende, il ruolo di unico e solo responsabile del “male” che non riusciamo ad evitare. E poi c’è l’irrisione di ciò che è sacro, che produce quel senso fittizio di onnipotenza di cui molti hanno bisogno per sentirsi forti anche nella tragedia. Non si spiegano altrimenti i commenti di chi su twitter se l’è presa col “Cristo impiccato” che abbiamo visto ai funerali nella tensostruttura di Amatrice. Brutto, squallido, da far rabbrividire… come se il Cristo in croce fosse invece immagine più “bucolica” e confortevole.

In mezzo c’è stato anche il tempo di “crocifiggere” con ironie e malevolenze varie la scrittrice e giornalista Costanza Miriano, che esortava i suoi followers a recarsi in una delle basiliche del percorso giubilare per invocare l’indulgenza plenaria per una delle vittime del terremoto “adottata”. Un’iniziativa che sicuramente stride con la coscienza contemporanea, per la quale la fede è un fatto interiore e non esibito, e che soprattutto andrebbe fatta in silenzio e senza eccessiva pubblicità. Eppure, tanto astio è stato un segnale: le preghiere per le anime dei defunti fanno parte della tradizione cattolica. Può non piacere, può essere giudicata una superstizione, persino una forma di fanatismo, ma è una delle pratiche dei credenti, unica categoria evidentemente a non essere meritevole di tolleranza e rispetto.

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