Diedero fuoco a un bimbo di 18 mesi, incriminati due ultrà ebrei

3 Gen 2016 19:59 - di Martino Della Costa

Ci sono voluti cinque mesi di indagini; sono serviti gli interrogatori serrati di decine e decine di estremisti ebrei attivi nei Territori, ma ora lo Shin Bet (la sicurezza interna israeliana) ritiene di aver individuato i responsabili del terribile rogo avvenuto a Duma (Cisgiordania) il 31 luglio.

Due ultrà ebrei incriminati per il rogo in cui morì una famiglia palestinese

Dunque, due ultrà ebrei sono stati incriminati in queste ore per il rogo in cui la scorsa estate morirono tre membri di una famiglia palestinese; altri tre estremisti, invece, in base a quanto riferito da radio Gerusalemme, sarebbero stati incriminati per altri attacchi antiarabi. E allora, sono Amiram Ben Oliel, di 21 anni, e un ragazzo minorenne di cui non è stata divulgata l’identità – che lo avrebbe assistito nell’attentato – ad essere stati incriminati per l’uccisione di tre membri della famiglia Dawabsheh (una coppia di genitori e un bambino di 18 mesi) e per il ferimento di un altro figlio di appena quattro anni nel rogo doloso avvenuto a Duma lo scorso 31 luglio: il bambino, curato in Israele, solo ora comincia a riprendersi dalle terribili ustioni. Altri tre ultrà ebrei, ha aggiunto poi sempre radio Gerusalemme, sono stati incriminati per vari episodi di violenza, fra cui uno compiuto a danno della Chiesa della Dormizione a Gerusalemme. Tutti sono accusati di far parte di una ”organizzazione terroristica”, ispirata ad una ”ideologia razzista e nazionalista”.

Il rogo, le indagini, l’udienza

Dunque, nel tribunale distrettuale di Lod (Tel Aviv) per quell’attentato terroristico sono stati incriminati gli estremisti ebrei Amiram Ben Oliel e un minorenne. Due loro compagni (Yinon Reuveni, 19 anni, e un altro minorenne) sono stati incriminati a loro volta per una serie di attacchi anti palestinesi e di atti vandalici. E tutti, secondo lo Shin Bet, farebbero parte di una “organizzazione terroristica”. In questo contesto sono stati indicati anche due “ideologi”, entrambi giovanissimi: Meir Ettinger (nipote di un rabbino estremista, Meir Kahane, attivo negli anni Novanta) e Moshe Orbach. La scorsa estate ai due sono stati imposti arresti preventivi. Al termine dell’udienza i legali degli ultrà hanno anticipato che ingaggeranno battaglia nella convinzione che le confessioni siano state estorte con metodi crudeli che ”ricordano quelli dell’Inquisizione spagnola”. La moglie di Ben Oliel ha anche sostenuto che su di lui sarebbero stati praticati ”abusi sessuali”. Lo Shin Bet, di contro, ha replicato respingendo ogni accusa e obiettando che sarebbe stato lo stesso Ben Oliel a ricostruire la dinamica dell’attentato, fornendo dettagli che non erano di dominio pubblico. Ma in realtà la ricostruzione lascia tuttavia aperte delle perplessità, sollevate sorpattutto dalle testimonianze oculari di alcune persone sentite sul caso. Così, lo stesso Shin Bet ammette di non essere certo di aver individuato, quanto meno, tutti i responsabili dell’attentato. Nel frattempo, anche l’intifada dei coltelli non perde intensità: a Gerusalemme un passante ebreo è stato accoltellato da un giovane palestinese, mentre a Hebron due militari sono stati feriti, in episodi separati, da cecchini palestinesi. Intanto continua la caccia al killer di Tel Aviv, l’arabo israeliano Nashad Melhem che due giorni fa ha ucciso a colpi d’arma da fuoco due avventori in un pub e che finora è riuscito a far perdere le tracce.

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