Renzo Bossi si difende in tribunale. «Ma la politica non la seguo più…»

15 Dic 2015 19:45 - di Redazione

Multe e polizze assicurative dell’auto «non sono state pagate dalla Lega ma da me personalmente». Si è difeso così Renzo Bossi, figlio del fondatore della Lega Nord Umberto Bossi, sotto processo a Milano assieme al padre e all’ex tesoriere del Carroccio Francesco Belsito per le presunte spese personali con i fondi del partito. E, a supporto della sua ricostruzione, prima di entrare in aula per assistere all’udienza dedicata all’ascolto di alcuni testimoni ha mostrato un resoconto dettagliato delle spese. Spese per migliaia di euro che, secondo il suo difensore, l’avvocato Carlo Beltrani, il “Trota”, come era soprannominato dalla stampa, 27 anni, ha pagato di tasca sua. «Sto ancora pagando alcune multe e cartelle esattoriali – ha sostenuto Renzo Bossi – non ci sono le prove che il pagamento sia stato fatto dalla Lega». Mentre nei corridoi del Palazzo di giustizia il figlio di Umberto Bossi respingeva le accuse, in aula è andata in scena la ricostruzione del consulente della Procura di Milano, il commercialista Stefano Martinazzo, incaricato di esaminare i conti del Carroccio e ascoltato come testimone. Secondo l’accusa, soldi pubblici entrati nelle casse della Lega Nord come rimborsi elettorali sarebbero usciti senza giustificativi in quanto destinati alle spese personali della famiglia Bossi. Umberto, Renzo e Belsito rispondono di appropriazione indebita per circa mezzo milione assieme a Riccardo Bossi, primogenito del fondatore della Lega, che invece è sotto processo con rito abbreviato. Tra il 2009 e il 2011, l’ex leader del Carroccio avrebbe speso oltre 208mila euro. A Renzo sono stati addebitati, invece, più di 145mila euro: migliaia di euro in multe, tremila euro di assicurazione auto, 48mila euro per comprare una macchina e 77mila euro per la ”laurea albanese”. Riccardo, infine, ha speso quasi 158mila euro.

Renzo Bossi adesso gestisce un’azienda agricola

«La contabilità del movimento politico non era completa e affidabile», ha spiegato il commercialista rispondendo alle domande del pm Paolo Filippini. «C’erano buchi nelle registrazioni e blocchi di dati inseriti regolarmente con otto o nove mesi di ritardo – ha sottolineato – oltre a pezze giustificative di spese non inserite nella contabilità e viceversa». Si è soffermato quindi sui due conti correnti «gestiti esclusivamente da Belsito» presso la Banca Popolare di Novara e la Banca Aletti di Genova «completamente sconosciuti alla contabilità» del partito che sarebbero serviti anche per gli affari in Tanzania al centro della tranche del procedimento trasferita nel capoluogo ligure. Lunedì aveva respinto le accuse anche Riccardo Bossi che è stato interrogato nel processo con rito abbreviato. Spiegando però, a differenza del fratello, di aver pagato le spese non con denaro suo ma con soldi che era convinto fossero “della famiglia”. In attesa della sentenza, l’inchiesta che nel 2012 ha travolto la famiglia Bossi ha provocato un primo effetto: il cambio ai vertici della Lega Nord e uno stop nella carriera politica di Renzo che, all’epoca, era consigliere regionale in Lombardia. Ora gestisce un’azienda agricola assieme al fratello minore, Roberto Libertà, a Brenta, nel Varesotto, a pochi chilometri da Gemonio, dove vive la famiglia Bossi. «Non penso alla politica e non la seguo più – ha spiegato Renzo – gestire un’azienda agricola è un lavoro impegnativo, gli animali vanno seguiti sette giorni su sette. «Una bella avventura – ha raccontato – che consente ai fratelli di rimanere legati alla natura, al territorio e alle nostre tradizioni».

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