L’assassinio gappista di Aldo Resega, il fascista che fermò le rappresaglie

19 Dic 2015 17:16 - di Antonio Pannullo

Quella di Aldo (Arnaldo) Resega è una delle tantissime storie di atrocità compiute nei drammatici anni della guerra civile in Italia. Ma è una storia particolarmente straziante, perché Resega era un moderato, un fascista che non voleva vendette o rappresaglie, un uomo che cercò sempre di tenere a freno i tedeschi a Milano dal compiere fucilazioni sommarie. Invece proprio a lui toccò, nel nome di un disegno politico del Partito Comunista, essere assassinato per strada da un commando terrorista, formato da gappisti, i quali poi il giorno dopo spararono alla cieca su coloro che parteciparono al suo imponente funerale, allo scopo di trascinare Milano nel caos. Le sue ultime parole furono per fermare le inevitabili vendette. Ma cominciamo dal principio. Era nato a Milano nel 1896 e allo scoppio della Grande Guerra si arruolò come tenente di fanteria.Nel 1918, nell’ultima offensiva, Resega fu il primo ufficiale italiano a raggiungere l’altra parte del Piave. Basti dire che alla fine del conflitto Resega era stato decorato con due medaglie d’argento, due di bronzo e una croce di guerra. Negli anni seguenti aderì al Partito nazionale fascista e partecipò agli scontri contro i comunisti. Durante il fascismo rimase sempre nel partito ma non mirò mai a cariche politiche o amministrative. Nel 1936 partì volontario con le Camicie Nere per la guerra d’Etiopia comandando una compagnia di Arditi della Divisione Tevere. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale partecipò alle operazioni in Grecia, Albania, Dalmazia e Jugoslavia. Il 5 giugno 1943, poiché era un pluridecorato e invalido di guerra, fu nominato ispettore del Pnf a Milano e subito dopo l’8 settembre ricostituì il Partito diventando federale del Pnf di Milano. Anche suo figlio Gianfranco si trovava a Milano, dove prestava servizio nella Guardia Nazionale Repubblicana. Il giorno dell’omicidio non era con lui, come raccontò in un intervista molti anni dopo, poiché i partigiani sapevano che il giovane era sempre armato mentre il padre girava disarmato. Aldo Resega era noto per essere contro la guerra civile, per essere un moderato, e in molte circostanze di quei giorni bui svolse un ruolo da paciere tra le parti, frenando gli eccessi degli squadristi. A Milano c’era insomma una grande tranquillità, tanto che i teatri, i ristoranti e i cinema riaprirono. Ma la resistenza voleva a tutti i costi scatenare il caos a Milano, e scelse come bersaglio proprio un moderato come Resega il quale, oltretutto, non portava armi e andava al lavoro in tram.

La strategia gappista per scatenare la guerra civile a Milano

Come scrisse il giornalista antifascista Carlo Silvestri nel 1949, «Aldo Resega aveva operato contro la guerra civile. Egli aveva accettato il pericoloso posto di federale di Milano solo perché, mi aveva detto, la presenza di Graziani lo aveva assicurato che il nuovo governo sarebbe stato al servizio della Patria e non della fazione». Quella mattina del 18 dicembre Resega come tutti i giorni era uscito dal suo appartamento di via Bronzetti quando, alla fermata del tram, fu affrontato da un commando di gappisti e assassinato con otto colpi di pistola. Nel 1948 l’Unità pubblicò il racconto dell’attentato di uno dei gappisti, i quali non sapevano neanche chi fosse l’obiettivo. Il 7 novembre precedente, dopo altri omicidi dei partigiani contro tedeschi e fascisti, Resega era intervenuto presso il comodando tedesco e verso gli squadristi per impedire le rappresaglie, le fucilazioni e gli arresti. Dopo l’esecuzione, i terroristi riuscirono a fuggire in bicicletta. Il figlio Gianfranco, allora 21enne, giunse poco dopo sul luogo dell’omicidio e per molto tempo non seppe chi avesse ucciso il padre. I partigiani volevano assolutamente far scoppiare la guerra civile a Milano, e Resega con la sua moderazione e il suo equilibrio ostacolava i loro progetti. Infatti dopo la sua morte iniziarono i guai per la città. Ma non è finita: a riprova che l’omicidio di Resega faceva parte di un agghiacciante piano politico, il giorno dopo, vicino piazza del Duomo, i partigiani spararono dai tetti sul corteo funebre di Resega, per scatenare il disordine. E stavolta non c’era Resega a calmare gli animi: furono fucilati otto antifascisti – completamente estranei all’omicidio – richiusi nel carcere di San Vittore. La tragedia era iniziata. Resega scrisse nel suo testamento spirituale: «Se dovessi cadere lasciate che il mio sacrificio, come quello di tanti altri Martiri, rappresenti semplicemente il pegno della nostra rinascita. La tragedia dell’Italia vorrà forse il mio sangue? Io l’offro con l’impeto della mia fede. Lasciate che sgorghi senza equivalente, senza rappresaglie e senza vendetta. Così soltanto sarà caro e fecondo per la mia patria: dono e non danno, atto d’amore e non fomite d’odio, necessità di dolore e non veicolo di disunione maggiore». Purtroppo dovranno passare lunghi mesi e decine di migliaia di morti prima che la strage cessasse. E in quella atmosfera avvelenata, il grande piano di riforme delineato da Mussolini in tutto il territorio della Rsi non avrebbe potuto trovare la sua completa attuazione. A sostenere l’azione dei Gap si aggiunse, in quei giorni, la propaganda delle radio italiane controllate dagli angloamericani e specie quella di Radio Bari. L’emittente pugliese cominciò a diramare ogni giorno elenchi di fascisti, indicando, di ognuno, le abitudini, gli orari e concludendo ogni trasmissione con questo incitamento: «Uccideteli, colpiteli alle spalle, massacrateli». La seconda quindicina di dicembre fu segnata da una serie quasi ininterrotta di uccisioni. Dopo la sua morte gli fu intitolata la VIII Brigata Nera e un battaglione della Legione autonoma Ettore Muti. Oggi Aldo Resega riposa nel campo dieci del cimitero maggiore di Milano, il campo dell’Onore, insieme ai suoi camerati di allora. (Nella foto, a sinistra, la vedova di Aldo Resega)

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