Processo Sivori contro Zanon: Fini depone su Acca Larenzia
Nel processo a Padova che vede imputato per diffamazione l’esponente di Fratelli d’Italia Raffaele Zanon, ex assessore regionale del Veneto e dirigente del FdG negli anni Settanta, la difesa ha chiamato a testimoniare l’ex leader di An Gianfranco Fini. Al centro della deposizione la tragica sera del 7 gennaio 1978, quando in via Acca Larenzia un commando di terroristi rossi uccise Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta. In seguito, dopo un fronteggiamento tra militanti del Msi accorsi sul posto e carabinieri, un colpo ferì a morte Stefano Recchioni, attivista della sezione romana di Colle Oppio. Nell’inchiesta fu coinvolto il capitano Edoardo Sivori, che fu visto sparare e venne ritenuto nel periodo successivo alla strage il responsabile della morte di Recchioni. Sivori venne definitivamente prosciolto nel 1983 da una sentenza del tribunale sulla base di una perizia che stabiliva che il proiettile che aveva ferito Recchioni non era quello della pistola d’ordinanza del capitano dei carabinieri.
Che cosa ha detto Fini
Nel 2012, durante una trasmissione televisiva, Zanon si era trovato faccia a faccia con Sivori, che all’epoca era un esponente del nascente partito delle aziende e, davanti alle telecamere, lo aveva accusato di essere l’assassino di Stefano Recchioni, abbandonando per protesta gli studi televisivi. Di qui la querela per diffamazione e il conseguente processo in cui Fini – che la sera del 7 gennaio era presente in via Acca Larenzia e venne ferito alla gamba da un lacrimogeno sparato dalle forze dell’ordine – è intervenuto come testimone a favore di Zanon, sottolineando che il coinvolgimento di Sivori non era ritenuto credibile solo dai militanti di destra ma, fino alla sentenza che lo dichiarava estraneo all’omicidio, era convinzione comune anche in ambienti estranei alla destra. Fini ha inoltre ricordato in proposito gli atti parlamentari in cui Giorgio Almirante chiese conto della condotta di Sivori quella sera in via Acca Larenzia ottenendo da Francesco Cossiga, all’epoca ministro degli Interni, la seguente risposta: Sivori aveva sì sparato ma il colpo era partito accidentalmente perché il capitano dei carabinieri era stato colpito dai sassi lanciati dai manifestanti missini.
Cosa accadde davvero ad Acca Larenzia?
Sivori, che nel frattempo è stato promosso generale, dopo l’udienza cui ha partecipato Fini parlando con i giornalisti ha raccontato ancora un’altra versione – riportata dal Corriere del Veneto – in cui afferma di essere stato sfiorato da colpi di mitra sparati dai brigatisti che facevano fuoco contro i missini e contro i carabinieri. È l’ennesima contraddizione sui fatti luttuosi di una serata di sangue dopo la quale molti giovani a destra persero ogni fiducia nella lotta politica condotta attraverso i partiti e si dedicarono allo spontaneismo armato. L’esito del processo è atteso per il 13 ottobre. Prima dell’udienza in cui ha deposto Fini un altro testimone a favore di Zanon, la giornalista Annalisa Terranova, aveva raccontato al giudice che la sera del 7 gennaio tutti erano convinti che a sparare fosse stato Sivori e che questa convinzione si era radicata nell’ambiente giovanile missino anche negli anni successivi. La non conoscenza da parte di molti del fatto che Sivori era stato in seguito scagionato era dovuta a vari fattori: la scarsa attenzione dei media per la strage di Acca Larenzia, l’estraneità della famiglia Recchioni all’ambiente della destra, il fatto che la versione che coinvolgeva Sivori era riportata in vari libri, a cominciare da Cuori neri di Luca Telese e la tendenza del mondo giovanile della destra a fare di quella data un’occasione per celebrare il ricordo dei militanti caduti rassegnandosi alla mancata giustizia per i morti missini che era una costante di quegli anni.