La Turchia ha troppa voglia di potenza: per questo Erdogan va verso la vittoria

6 Giu 2015 15:39 - di Giovanni Trotta
Il leader turco Erdogan

Vigilia di elezioni insanguinata: il premier turco Ahmet Davutoglu ha definito «un atto di sabotaggio e provocazione» l’attentato di venerdì sera a Diyarbakir contro un comizio del partito curdo Hdp, a 48 ore dalle cruciali politiche di domenica. Le due esplosioni che si sono verificate vicino a una centralina elettrica, in mezzo alla folla, hanno fatto secondo Zaman online, quattro morti e quasi 200 feriti. Non ci sono state per ora rivendicazioni.Secondo fonti della sicurezza a Diyarbakir una delle due esplosioni è stata provocata da un cilindro metallico riempito di esplosivo e di palle di metallo. L’attentato si è verificato poco prima che prendesse la parola davanti alle migliaia di simpatizzanti il leader Hdp Selahattin Demirtas. Diverse persone sono state arrestate all’alba di sabato a Istanbul in un’operazione contro un gruppo con presunti legami con il Pkk curdo. I raid non sono ancora stati confermati dalle autorità. Secondo l’agenzia Dogan tra loro ci sarebbero anche donne. Le forze di sicurezza turche hanno effettuato le operazioni con l’ausilio di mezzi blindati sulla sponda asiatica di Istanbul, a Cekmekoy e Sancaktepe. In quest’ultimo quartiere si era svolto in queste ore un comizio finale del candidato premier dell’Hdp Demirtas. Il risultato dell’Hdp è decisivo nel voto: se dovesse superare lo sbarramento del 10%, il partito Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan potrebbe anche perdere la maggioranza assoluta.

Erdogan: la democrazia è come un tram, sali e scendi…

«La democrazia è come un tram, sali e ti fai portare dove vuoi arrivare, poi scendi», diceva 20 anni fa il giovane sindaco islamico di Istanbul Recep Tayyip Erdogan, astro nascente della politica turca. Oggi è il sultano, padrone incontrastato del Paese dal 2002. Intanto però come molti temevano la tensione è salita alle stelle con un attentato che ha insanguinato l’ultimo comizio a Diyarbakir, capitale del Kurdistan turco, del leader dei curdi, il cui risultato potrebbe essere decisivo per il futuro assetto politico del paese. Dalla rivolta di Gezi Park e dalla Tangentopoli del Bosforo di due anni fa Erdogan ha imposto al Paese una stretta autoritaria e islamica. Domenica ha chiesto agli elettori una maggioranza di 330 deputati su 550 per cambiare la costituzione e imporre un regime superpresidenziale, che gli dia pieni poteri. Una dittatura islamica, tuona l’opposizione. Sarà, avverte il politologo Usa John Tures, il voto più importante per la Turchia da quasi 100 anni, da quando Mustafa Kemal Ataturk fondò nel 1923 la repubblica laica e democratica sulle rovine dell’impero ottomano e islamico. Potrebbe essere, scrive l’analista Yusuf Kanli, «l’ultima uscita prima della dittatura». Il Paese appare a un bivio fra autoritarismo e fragile democrazia, fra Islam e Occidente. In teoria super-partes come presidente secondo la costituzione, Erdogan si è invece gettato nella battaglia elettorale con la consueta ferocia verbale, denunciando in mille comizi i leader dell’opposizione, i complotti della stampa turca e internazionale e della lobby armena orchestrati da una occulta mente superiore. Ma nonostante il controllo su giustizia, polizia, servizi segreti, media privati e pubblici il risultato del voto appare incerto. Molto dipenderà proprio dal partito curdo Hdp di Selahattin Demirtas, da giorni vittima di decine di attacchi. L’Akp è dato in calo al 39-44% contro il 50% alle politiche 2011, il Chp di Kemal Kilicdaroglu al 26-28%, l’Mhp di Devlet Bahceli al 15 -17%.

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