Nozze gay, la cattolicissima Irlanda al voto per un referendum storico
La cattolicissima Irlanda va al voto sulle nozze gay ed è il primo paese a svolgere un referendum popolare sui matrimoni dello stesso sesso. I sondaggi danno in vantaggio il fronte massiccio del “sì” ma l’esito della consultazione non è affatto scontato anche se è evidente che la Chiesa ha perso molta della sua influenza, basti pensare che solo fino al 2010 l’omosessualità era considerata reato. Le città irlandesi sono tappezzate di manifesti dei fronti contrapposti: quelli che inneggiano all’uguaglianza dei diritti (il sì) e quelli contrari che mettono in guardia dal rischio che i matrimoni gay possano aprire la strada alle adozioni per le coppie omosessuali (un bambino ha bisogno di un padre e di una madre).
Nozze gay, urne aperte
Per le nozze gay sono schierati tutti i partiti politici, persino il primo ministro cattolico praticante, Enda Kenny (che si è fatto immporatalere davanti a una pinta di birra in un bar per soli gay). A sostenere il “no” tutti i vescovi cattolici e i gruppi di ispirazione religiosa. L’appeal della Chiesa – malgrado l’85 per cento di cattolici – è molto calato dopo l’escalation di scandali sugli abusi sessuali che ha sconvolto l’opinione pubblica. Ma il verdetto (che si conoscerà sabato) potrebbe rivelare sorprese confermando la fragilità dei sondaggi che alle scorse elezioni britanniche del 7 maggio si sono rivelati una clamorosa “patacca”.
Sabato il verdetto
I seggi per il referendum sulle nozze gay sono aperte dalle sette di venerdì mattina fino alle 10 di sera: si tratta di un appuntamento storico per il quale 3,2 milioni di elettori sono chiamati a decidere se vogliono o meno introdurre i matrimoni gay nella Repubblica. Gli scrutini inizieranno sabato mattina alle 9 e nel giro di qualche ora si dovrebbe conoscere se hanno prevalso i “sì” o i “no”. Quello sulle nozze gay non è l’unico quesito referendario, gli irlandesi sono chiamati ad esprimersi anche per modificare la costituzione e pronunciarsi sulla proposta di ridurre l’età per l’eleggibilità del presidente della Repubblica dai 35 ai 21 anni.