L’ultima fregatura Ue: sulle etichette mancherà un dettaglio fondamentale

12 Dic 2014 11:47 - di Fortunata Cerri

Luci e ombre sull’entrata in vigore delle norme che imporranno un cambiamento sulle nuove etichette per alimenti e bevande. Da sabato parte anche in Italia l’applicazione del regolamento comunitario 1169 del 2011, che uniforma in tutti i Paesi Ue le informazioni chiave sulla composizione del prodotto acquistato, rendendole più leggibili e trasparenti e aumentando la tutela contro le contraffazioni.

Il nuovo regolamento

Ma non è tutto oro quel che luccica. Così se da un lato tra le novità delle nuove etichette ci sarà una maggiore evidenza sulla presenza di sostanze allergizzanti o che procurano intolleranze, l’indicazione del tipo di oli e grassi utilizzati, la data di congelamento e le informazioni sullo stato fisico degli ingredienti utilizzati – non sarà per esempio più possibile utilizzare il termine “latte” se si usano latte in polvere o proteine del latte – dall’altro l’Ue toglie  l’obbligo di indicare sull’etichetta dove vengono confezionati i prodotti. In sostanza, non sarà più garantita la conoscenza dello stabilimento di produzione. Un argomento delicato per  la tutela del Made in Italy e per i consumatori che è stato sviscerato da L’Espresso oggi in edicola. Fino ad ora, si legge nell’inchiesta dal titolo Quei cibi d’origine misteriosa,  in Italia è stato obbligatorio indicare lo stabilimento di produzione degli alimenti in vendita negli scaffali dei supermercati e dei negozi di generi alimentari, lo ha stabilito la legge 109 del 1992. Ma con il regolamento europeo cambiano le regole e la norma nazionale andrà in soffitta. Le conseguenze? Scrivere sull’etichetta il luogo in cui l’alimento è stato lavorato diventerà facoltativo. Infatti, come si legge sulle pagine del regolamento comunitario, si può pubblicare sulla confezione  solo il nome del proprietario del marchio. Una linea che penalizzerà il Made in Italy e le famiglie. L’Espresso cita casi concreti che potrebbero avere come conseguenza estrema quella di vedere spostare all’estero la realizzazione del prodotto senza che il consumatore verrebbe a saperlo.

Il malumore delle imprese italiane

Fernando Sarzi, amministratore delegato della Sterilgarda, spiega a L’Espresso che negli Usa « il Made in Italy continua  ad andare fortissimo, ma adesso che non sarà più obbligatorio indicare lo stabilimento di produzione qualcuno, per esempio chi ha sede legale da noi ma fabbriche all’estero, potrebbe approfittarne per vendere come italiano ciò che in realtà viene lavorato fuori». Ma c’è chi si muove. Per bloccare questa possibile deriva e opporsi all’entrata in vigore  del regolamento europeo, Raffaele Brogna, fondatore di ioleggoletichetta.com, ha avviato una petizione che finora ha raccolto circa ventimila firme. «Dalla nostra parte stanno le aziende che producono tutto in Italia – dice Brogna – non certo colossi come Unilever, Nestlé, Auchan o Carrefour che hanno stabilimenti in tanti Paesi e possono beneficiare del nuovo regolamento».

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