L’Occidente è ormai un fantasma, ma Ezio Mauro ancora non lo sa

5 Set 2014 18:01 - di Aldo Di Lello

È cosa risaputa che i neofiti sono i più entusiasti. Ed è davvero commovente la loro dedizione quando la dottrina che hanno da poco abbracciato è arrivata al tramonto. L’ultimo esempio ci è fornito da Ezio Mauro. Il titolo del suo editoriale su la Repubblica è degno degli anni più rigidi della guerra fredda: “L’Occidente da difendere”. È un nobile proclama ideale. Peccato solo che l’Occidente non si sa più che cosa sia , dove sia e quali siano i suoi valori di riferimento (ammesso e non concesso, poi, che in questa parte del mondo si testimonino ancora valori etici al di là dei sovrabbondanti valori finanziari). Ma tant’è: il direttore de la Repubblica  si lancia in una apologia della nostra civiltà (in senso huntingtoniano) con un fervore da far invidia agli intellettuali neocon: «Lo abbiamo svalutato (il concetto di Occidente n.d.r.) come un reperto della guerra fredda e non come un elemento della nostra identità culturale».

L’occasione dell’apologetica occidentalista di Mauro è duplice: la crisi in Ucraina, da un lato, e l’offensiva dei tagliagole dell’Isis, dall’altro. Di qui l’accorata domanda: «Nel momento in cui due parti del mondo lo designano come il nemico finale e l’avversario eterno, l’Occidente ha una nozione e una coscienza di sé all’altezza della sfida?». Il direttore de la Repubblica lamenta il fatto che «quel pezzo d’Occidente chiamato Europa» è parso in difficoltà, dopo la caduta del sovietismo, «a definirsi, concepirsi come la terra dov’è nata la democrazia delle istituzioni e la democrazia dei diritti». La conclusione del ragionamento suona come una sorta di chiamata alle armi. «L’Occidente oggi va difeso con ogni mezzo da chi lo condanna a morte».

Si tratta di una prosa che, pur proveniendo da un uomo di sinistra, dovrebbe in teoria essere applaudita anche a destra, o per meglio dire da quella destra che si è sempre coerentemente schierata dalla parte del mondo libero al tempo della guerra fredda, prima, e da quella dell’Occidente attaccato dall’islamismo, poi. Dovrebbe, appunto, se non fosse per il fatto che l’apologia occidentalista di Mauro appare un po’ obsoleta. E tralasciamo l’ipotesi che possa essere stata ispirata dall’idea di fornire sostegno alle posizioni antiputiniane di Renzi e di Lady Pesc Mogherini. Il punto vero è che, a condannare a morte l’Occidente, non sono stati né la Russia di Putin né il “Califfato” di Al Baghdadi. Né l’una né l’altro perché, in realtà, a decretare la caduta del l’Occidente (e dei suoi valori fondanti) sono state le stesse élites occidentali, ritenendolo un concetto ormai inservibile dopo la fine della guerra fredda. L’Occidente  è tramontato (e il suo nome è caduto in disuso) quando si è affermata la globalizzazione; quando gli Stati nazionali (gli spazi politici connaturati con la democrazia) sono stati svuotati della sovranità; quando la  “difesa dei diritti” è stata svalutata dalla corsa sfrenata del turbocapitalismo; quando il cosmopolitismo è diventato la rappresentazione ideale del mondo per le élites (ex)occidentali; quando la promessa di pace e prosperità seguita alla fine della guerra è diventata una favola grottesca. Invocare oggi il fantasma dell’Occidente  serve inoltre a ignorare il fatto che l’evoluzione mondiale tende al multipolarismo delle aree regionali e che, in tale contesto storico e geopolitico, il cosmopolitismo è destinato a ridiventare una pallida utopia kantiana. Forse Ezio Mauro farebbe bene a consultarsi con uno dei più illustri collaboratori de la Repubblica: il direttore di Limes, Lucio Caracciolo, che a questi argomenti ha dedicato fascicoli di notevole interesse geopolitico e geoculturale.

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