Il caso Crimea lo dimostra: la nostra politica estera fa acqua da tutte le parti
La Crimea è tornata ad essere al centro delle preoccupazioni dell’Europa, tanto più dopo l’annessione alla Federazione Russa decisa con il referendum dei giorni scorsi. La strategica area del Mar Nero ha abituato la storia europea a doverci fare i conti. Accadde dal 1853 al 1856 durante la Guerra di Crimea in cui si scontrarono i russi da una parte e francesi, italiani, inglesi e turchi dall’altra. E accadde di nuovo nel febbraio del 1945, quanto in Crimea Roosevelt, Churchill e Stalin siglarono il Trattato di Yalta con cui pochi mesi prima di piegare il nazismo si spartirono l’Europa che fu divisa nei due blocchi che ancora conosciamo.
Nell’Ottocento la disputa riguardava il controllo dei luoghi di culto in territorio ottomano, al termine della seconda guerra mondiale si trattava di interessi politici, mentre adesso gli interessi sono soprattutto economici e riguardano il gas e il petrolio con cui lo Zar Putin ricatta l’Europa occidentale.
La scelta del popolo ucraino di cacciare il presidente filo russo Yanuchovic per far tornare al potere i popolari filo-Europa della Tymoshenko non è andata giù alla Russia, che vede di cattivo occhio l’avvicinarsi dell’Europa ai suoi confini, tanto più in un’area geopoliticamente delicata e importante qual è la Crimea. A Sebastopoli c’è la sede della flotta militare russa del Mar Nero, accanto alla flotta militare ucraina. È l’unico porto al mondo, situato fino a ieri in Ucraina, ad essere sede di due flotte di nazionalità diversa. Da lì Putin controlla il Mar Nero, su cui affacciano Turchia, Bulgaria, Romania, Georgia, Moldavia e Ucraina. Si tratta di uno snodo troppo importante per lasciarlo all’Ucraina europea. Ecco perché appena la rivoluzione ha cacciato il presidente filo-russo Putin ha fatto invadere la penisola poi annessa in breve tempo col referendum.
Adesso, dopo aver forzato la mano militarmente e plebiscitariamente, lo Zar russo è pronto a dialogare con coloro che nel mondo sono preoccupati per quello che sta accadendo. Gli Stati Uniti vorrebbero intervenire con sanzioni pesanti e insistono nel dire che il referendum è illegale. Anche l’Europa vorrebbe punire Putin, ma dichiara l’illegalità di quanto accaduto molto sommessamente, sapendo di non poter andare allo scontro a causa della dipendenza energetica dalla Russia. In questo contesto l’Italia ha rispolverato l’andreottiano principio dell’equivicinanza, non indispettendo l’alleato del Cremlino, con cui le nostre società pubbliche fanno importanti affari, e sostenendo debolmente la tesi statunitense circa l’illegalità dell’operato russo.
Ancora una volta la politica estera italiana si mostra timida, sottovalutando i rischi di quel che sta accadendo. La tolleranza europea all’aggressione che l’Ucraina sta subendo frenerà altri moti spontanei, castrerà le future rivoluzioni democratiche e allontanerà l’Europa da quei popoli che vorrebbero farne parte.
A metà ottocento in Crimea si combatteva per i luoghi sacri, a metà Novecento ci si spartiva il continente, mentre oggi con l’Unione europea quasi silente si privilegiano le forniture di gas ai movimenti rivoluzionari che chiedono più democrazia, più libertà e più Europa.