Tra i litiganti Letta e Renzi sarà il Cavaliere a godere. Grazie al “Porcellinum”

5 Feb 2014 13:29 - di Mario Landolfi

Da una parte Letta, dall’altra Renzi. In mezzo il Porcellinum, il progetto di riforma elettorale che da un paio di settimane circola sotto il falso nome di Italicum nei palazzi della politica. Comunque sia e comunque si chiami, l’accordo stipulato tra il segretario del Pd e Berlusconi è di fatto lo spartiacque della politica nazionale. Tutto dipende dalla sua approvazione, a cominciare dal destino del governo a finire a quello della legislatura.

Renzi sente approssimarsi l’ora fatale in cui dovrà scegliere se proseguire nelle due parti in commedia – segretario di lotta e di governo – o assumere in prima persona la guida dell’esecutivo consentendo alla legislatura di durare ben oltre il 2015. In questo caso, lo farebbe alla D’Alema-maniera e cioè privo di legittimazione popolare (come Letta, del resto) ma nella qualità di leader del primo partito, il Pd. Fosse per lui, Renzi si sottrarrebbe volentieri all’incombenza, ma al momento è costretto a subire il pressing degli attuali alleati di maggioranza, Ncd e Scelta Civica, e quello dei probabili alleati politici di domani come il Sel di Vendola. Ma anche settori non marginali del Pd sono della partita. Lui fa melina, rinvia a marzo la sottoscrizione del patto di governo e scommette tutto sull’approvazione del Porcellinum almeno alla Camera. Solo a quel punto – due, tre settimane massimo – la questione della staffetta a Palazzo Chigi diventerà davvero prioritaria.

E Letta? È altamente improbabile che il premier – reduce da un giro nei Paesi arabi che gli ha consentito di tornare in patria forte di mezzo miliardo di euro ottenuto dall’emiro del Kuwait, Al Sabah – si faccia rosolare a fuoco lento. Anzi, proprio questa specie di Piano Marshall in salsa araba lo ha incoraggiato a non dare per persa la partita del partito e del governo. Così si spiega il fronte polemico da lui aperto contro lo scetticismo confindustriale e la piccata rivendicazione del lavoro sin qui svolto dall’esecutivo. Un messaggio rivolto proprio a Renzi, quasi a marcare una differenza tra chi si occupa delle cose della politica, come il sistema di voto, e chi invece si preoccupa dei problemi dell’economia e delle imprese e riesce a portare un bel gruzzoletto di soldi per le imprese italiane. È la prova – sembra dire – che l’Italia è ritenuta ancora affidabile dagli investitori stranieri. Ovviamente, anche Letta sa bene che ogni ragionamento sulla sua permanenza a Palazzo Chigi è subordinata all’approvazione del Porcellinum, spartiacque tra un prima e un dopo.

Ma la riforma elettorale è solo un pezzo di un più ampio (e problematico) mosaico che – almeno a parole – è stato presentato da Renzi (significativamente meno da Berlusconi) come un tutt’uno comprendente anche l’abolizione del Senato e del Titolo V sulle competenze regionali. Due obiettivi di rango costituzionale e perciò licenziabili dal Parlamento solo dopo una doppia lettura. C’è, quindi, un problema di tempi sfalsati rispetto al Porcellinum e c’è, soprattutto un problema di merito: i senatori cancelleranno se stessi abolendo il Senato? Difficile. In ogni caso – per dirla alla Battisti – lo scopriremo solo vivendo. Al momento è lecito immaginare che non tutto filerà via liscio come l’olio. Soprattutto se i sondaggi consiglieranno al Cavaliere di incassare il Porcellinum e quindi di rompere gli indugi puntando al voto anticipato. Del resto, le braccia aperte ed il sorriso largo con cui ha accolto il “pentito” Casini autorizzano a sospettare che le sue scadenze non coincidano con i tempi di Renzi.

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