Rifondazione democristiana? Caldarola: indietro non si torna. Solinas: la toppa è peggiore del buco

4 Ott 2013 14:02 - di Gloria Sabatini

Moriremo democristiani? Irrompe sulla scena politica l’ancestrale voglia di centro dei moderati sparsi qua e là a tutte le latitudini che ciclicamente si annusano a distanza. Con l’implosione del Pdl, la navigazione sotto costa del governo e la guerra di nervi nel Pd  gli analisti si interrogano sulla possibile riedizione della Balena Bianca 2.0. Per Paolo Cirino Pomicino è un destino ineluttabile, «è da vent’anni che lo ripeto! Basti pensare alle radici politiche di Letta, di Renzi, di Franceschini e  ai cosiddetti “democristiani sparsi”».

La macchina del tempo sembra imbizzarrita, i sondaggi “mordi e fuggi” dell’ultima ora accreditano l’eventuale nuova Dc (con Monti, Alfano, Casini, Lupi, Mauro) al 20 per cento, con il Pd al 26, il movimento Cinquestelle al 21 e la nuova Forza Italia al 17 per cento. A volte ritornano e la lista è lunga: nel Pd il primo ad arruolarsi è Beppe Fioroni, da sempre a disagio nel recinto democrat, scalpitano anche i lettiani, i sostenitori di VeDrò, il think thank del premier per ora in soffitta. Al centro di diritto ci sono anche l’Udc di Casini e la “cosa” dell’ex premier Mario Monti.

Nel centrodestra la partita è tutta ancora da giocare: molto dipenderà dal grado di accelerazione di una “scissione” per ora rientrata e da come avverrà la riedizione di Forza Italia, se mai si farà. Peppino Caldarola, ex direttore dell’Unità, tradizione comunista, non si scandalizza. «Il tema del centro è nel dibattito politico da parecchi anni, finché lo schema bipolare è sembrato inattaccabile però non ha mai funzionato». E adesso? «Di fronte allo sfarinamento del berlusconismo e a un Pd senza egemonia  nell’opinione pubblica stanca di scontri muscolari può nascere la voglia di andarsi a collocare al centro in alternativa a Grillo». Al governo – sorride Caldarola – abbiamo due democrisriani doc: Letta che viene dalla scuola di Andreatta, l’inventore del centrosinistra e di Prodi, uno che ha studiato alla “Normale” di Pisa della Dc, e il giovane Angelino, ex dc, che si candida a protagonista del dopo-Berlusconi. «I due sono una coppia di fatto ma è difficile dire come finirà». Ce la farà Alfano a tirare fuori il “quid” e prendere il testimone del Cavaliere? Forse sì, «perché i falchi sono poveri di idee, utilizzano il nome del capo ma non hanno una direzione di movimento e a destra il territorio è occupato». Grande ammucchiata centrista, ma con quale rappresentanza e con quale identità? «Sarebbe il punto di riferimento della borghesia spaventata e declassata – dice Caldarola – e avrebbe come identità politica il popolarismo cattolico, la signora Merkel insomma». E che dire di Pippo Civati? L’eroe del giorno, l’unico democratico a non aver votato la fiducia a Letta che grida al tradimento elettorale, perché «usano i nostri voti per rifare la Dc. Ci siamo preoccupati di falchi e colombe e invece arriva la balena, animale tristemente noto». Ma Civati «appartiene alla categoria della poesia come Vendola, sembra il giovane Werther, non si può commentare…», ironizza Caldarola che di anime tormentate a sinistra ne ha viste tante.

Stenio Solinas, inviato del Giornale, intellettuale scomodo, un passato nella Nuova Destra, non crede alla rinascita della Dc. «Mi sembra molto difficile che Fioroni e Formigoni possano convivere in uno stesso spazio. Mi sembra più un finale di partita berlusconiano con il tentativo di mantenere in vita una sigla e un potere senza il padre fondatore. Bisogna vedere però se la cosa tiene, se il Cavaliere ha ancora un appeal elettorale, una volta privato, come sarà, della possibilità di fare campagna elettorale». Se il futuro non gioca a favore dell’ex premier è cruciale capire quanto pesa un partito moderato di centrodestra senza Berlusconi. «Ciascuno si porta dietro il valore aggiunto di ciò che è stato prima, ci sono molte resistenze, basta pensare al matrimonio fallito tra Monti e Casini, ormai separati in casa, con il segretario dell’Udc che si è ben guardato dallo sciogliere il suo partito e l’ex premier che non ha avuto la capacità di fare da polo di attrazione».

Resta  poi l’incognita Renzi, un passato da popolare e da boyscout, candidato alla regia centrista prima che svoltasse a sinistra per rinverdire gli elettori del Lingotto. E il rompicapo della durata dell’esecutivo. «Più il governo dura più Letta guadagna potere a scapito di Renzi – osserva Solinas – ma è anche vero che più Letta rimane in sella più crea problemi alla sinistra del partito, l’area post-comunista o ex-comunista. E poi Renzi e Letta provengono dallo stesso mondo anche se hanno linguaggi molto diversi». La verità per Solinas è che non esistono né nella destra berlusconiana né nella sinistra democratica la forza e la capacità di smarcarsi dalla “vigilanza” internazionale. La tentazione centrista, insomma,  nasconde le difficoltà del passaggio dal vecchio al nuovo ed è legata al fatto che «nessuna forza politica in Italia in questo momento può pensare di fare una politica nazionale. Siamo guidati e monitorati a livello europeo e le scelte sono sempre all’interno di parametri ben definiti. Il governo durerà perché è quello che si vuole a livello europeo».

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