Il Pdl vola verso la scissione. La vuole il Cavaliere, ma con molto calcolo

25 Ott 2013 20:35 - di Mario Landolfi

La scissione del Pdl è solo rinviata. Nel frattempo è tregua armata fino al prossimo Consiglio Nazionale. Da oggi fino a quel dì – stando all’ufficialità delle dichiarazioni – tutti, a cominciare da Berlusconi, lavoreranno per l’unità. In realtà, ognuno utilizzerà il tempo residuo per lasciare il cerino tra le dita del contendente. A chi giova questa spaccatura? Certamente alla sinistra, ma la politica non è un libro giallo e non sempre il suo movente risulta immediatamente decifrabile. Berlusconi ha rotto gli indugi e difficilmente devierà di un millimetro rispetto alla rotta che si è assegnato: rifare Forza Italia, il cui ritorno, come più volte abbiamo ripetuto su queste colonne, non trova motivo nel presunto scarso appeal del Pdl ma solo nella necessità di riportare in vita uno statuto in grado di assecondare ed esaltare la trazione carismatica del movimento. Berlusconi vuole mani libere perché ha deciso di giocare a modo suo la battaglia finale, quella della libertà. Non senza calcolo, però, perché oltre alla libertà c’è la roba del conflitto d’interessi, che del berlusconismo è la costituzione materiale.
Anche in queste ore il Cavaliere lancia messaggi rassicuranti sulla vita del governo. Ed è sincero. Lui non vuole che Letta venga disarcionato. Non tanto per ragioni politiche quanto perché il suo cerchio più stretto – la famiglia e l’amico Confalonieri su tutti – è ferocemente contrario ad una crisi. C’è del calcolo, dicevamo. Non è forse del tutto casuale che Berlusconi abbia accelerato dopo il documento con cui 24 senatori, nero su bianco, separavano per la prima volta la sorte del loro leader da quella del governo cui s’impegnavano a restare leali in ogni caso. Una sortita che se da un lato ha addolorato umanamente il Cavaliere, dall’altro lo ha politicamente liberato dal peso della responsabilità della caduta dell’esecutivo nel caso, una volta consumata la scissione, Forza Italia decidesse di revocargli da fiducia. Ora ha la certezza che anche in questo caso il governo – seppur ammaccato _ conserverebbe i numeri per resistere, Renzi, ovviamente, permettendo.
Berlusconi riuscirebbe in tal modo a garantire la “roba” senza però rinunciare alla sua battaglia di libertà. Di più: il ritorno a Forza Italia gli offrirebbe la possibilità di fornire una lettura politica del probabile divorzio da un Ppe sempre più ipotecato dall’opzione centrista di Alfano e dalla sua intesa con Casini e Mauro. In tal senso, la decisione di Mario Monti di restare alla guida di Scelta Civica potrebbe essere spiegata con il fatto che non c’è più spazio per il Cavaliere tra i popolari europei. Ma poco importa: Berlusconi non ha alcuna intenzione di lasciare a Grillo il monopolio della contestazione all’euro. Del resto, alle elezioni europee non è in gioco il governo e ognuno corre per sé, condizione ideale per chi volesse cavalcare ed agitare argomenti facilmente assimilabili da un’opinione pubblica già di suo maldisposta verso le istituzioni comunitarie.
È probabile che per allora Berlusconi stia scontando la sua pena con l’affidamento a qualche comunità e per di più privo di qualsiasi onorificenza politica. Possibile anche che sia ristretto agli arresti se qualche procura decidesse di togliersi lo sfizio una volta caduta la corazza dell’immunità. Può darsi tutto questo e altro ancora. Ma la parola “fine” su questo avvincente e drammatico capitolo della nostra storia, forse, non è stata ancora scritta.

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