Letta cauto sulla decadenza di Berlusconi, il Pdl “vede” la crisi e chiama in causa la Consulta

20 Ago 2013 20:29 - di Redazione

Il premier Enrico Letta è “ottimista” e ad un giornalista austriaco che gli chiede come l’Italia, che aspira a diventare un paese “normale”, potrà raggiungere il suo obiettivo risponde: «Come abbiamo fatto in questi cento giorni, che dimostrano che il governo può lavorare». E alla domanda se quella Italiana è un’anomalia, risponde: «Lascio agli altri giudicare, noi lavoriamo e intendiamo continuare a lavorare». Ma il tema dei rapporti col Pdl e il voto sulla decadenza di Berlusconi sono il vero piatto forte dell’intervista. E Letta, come al solito, si mostra prudente: «Si deciderà in Commissione, le decisioni che assumerà per quanto mi riguarda saranno le decisioni giuste». Il premier confida che «il partito di Berlusconi prenderà le sue decisioni e si assumerà le responsabilità delle sue decisioni» e che gli italiani «sappiano i costi che avrebbe l’interruzione di un processo virtuoso che dà la possibilità di agganciare la ripresa». Il premier, insomma, è fiducioso sulla durata del suo esecutivo. «Il mio è un governo parlamentare di grande coalizione e deve la sua fiducia al presidente della Repubblica e al Parlamento e lavorerà finché avrà la fiducia del presidente della Repubblica e del Parlamento».

Ma sul fronte del Pdl si continua a lavorare per provare a “salvare” Berlusconi (e il governo) dalla possibile morsa Ps-grillini sulla decadenza del Cavaliere. Gaetano Quagliariello mette in guardia dai rischi di “implosione del sistema” che l’Italia potrebbe correre se il Senato votasse per la decadenza di Silvio Berlusconi. «Se si dovesse trasformare la Giunta del Senato da luogo della meditata ponderazione al teatro di un plotone di esecuzione, il centrodestra avrà il suo dramma da affrontare ma l’Italia non ne uscirebbe indenne», scrive il ministro per le Riforme costituzionali in un intervento che sarà pubblicato nel Foglio quotidiano di oggi. Sul caso Berlusconi “si discuta senza pregiudizi, e si prenda in considerazione anche l’ipotesi che a dire l’ultima parola possa essere la Corte costituzionale. Non ci si lasci ammaliare da sentenze e presunti precedenti che riguardano casi molto diversi, perché con tutto il rispetto il Parlamento è il Parlamento e le sentenze non sono temi a piacere”, prosegue il ministro per le Riforme costituzionali. «Non stiamo discutendo di un fatto personale e privato. Vi sono momenti nei quali dall’interpretazione di una norma di legge passa la sorte di un Paese. Si discuta dunque senza pregiudizi, dice Quagliariello, secondo il quale «se la legge Severino non fosse stata figlia, come tante altre leggi mal scritte, di pagine di cronaca piene di scandali e del terrore della classe politica di restarne travolta, forse si sarebbe evitato che un tribunale potesse giudicare insieme di un presunto reato e della permanenza in carica di un parlamentare già eletto (e magari della sopravvivenza di un governo), e si sarebbe evitato di porre il Parlamento di fronte a una drammatica alternativa: mettere in discussione la discutibile logica apparente di una legge dello Stato o calpestare la Costituzione spogliandosi delle proprie prerogative e degradando se stesso a mero notaio di decisioni altrui».

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