Presidenzialismo: la sortita di Letta ha gettato nel panico i dinosauri del Pd

3 Giu 2013 10:10 - di Gennaro Malgieri

Era prevedibile che l’ambigua sortita di Enrico Letta creasse scompiglio nel Pd. L’opaca apertura al presidenzialismo ha gettato nel panico i dinosauri del suo partito. Eppure non ha detto molto. Ma abbastanza per le Bindi e gli Orfini che si sono mobilitati a difesa del decrepito ordine istituzionale cui si debbono tutti i disastri che stiamo scontando da vent’anni.

Cosa ha affermato Letta di tanto “trasgressivo”? Semplicemente che l’ultima elezione del presidente della Repubblica “è stata drammatica per la nostra democrazia. La fatica della nostra democrazia è emersa lì. Non credo potremmo più eleggere il Presidente della Repubblica in quel modo, perché assegnare questa elezione a mille persone non è più possibile”.

Ovviamente Il premier non si è spinto al punto di ipotizzare una qualche forma di governo: sarebbe stato eccessivo. Anche se qualcosa in più poteva dirla, per esempio in merito al sistema elettorale. Se si fosse apertamente pronunciato per il doppio turno alla francese, implicitamente avrebbe mostrato di preferire il semipresidenzialismo ad esso connesso. E che si vada, sia pure attraversando infide paludi, verso questo esito – sempre che il governo regga e la maggioranza non  si sfarini –  lo testimonia l’entusiasmo con il quale Alfano, a nome di tutto il Pdl, ha accolto la cauta testimonianza di Letta in favore di un cambiamento radicale del sistema.

E già, perché di questo a tratta. Comunque lo si voglia costruire, il presidenzialismo implica anche una revisione del modello di Stato. Non basta affermare il principio per il quale i cittadini eleggono direttamente il Presidente della Repubblica, c’è poi bisogno di rimodulare i poteri di tutti gli organi costituzionali ed in definitiva di riscrivere la Carta. Non è, con tutta evidenza, così semplice come a qualcuno potrebbe apparire. Intanto bisogna vincere le resistenze che a sinistra sono ben radicate anche in personaggi che hanno dimenticato come meno di vent’anni fa, nel 1998 per la precisione, la Commissione Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema fosse sul punto di approvare il semipresidenzialismo con la sola opposizione di Rifondazione comunista, nella consapevolezza che la tematica dell’elezione diretta del capo dello Stato aveva attraversato tutte le culture politiche del Novecento, come dimostrò – e mi si scuso per l’ineleganza dell’autocitazione – chi scrive intervenendo alla Camera dei deputati per sostenere l’infondatezza che il presidenzialismo fosse l’anticamera dell’autoritarismo e per nulla patrimonio di una sola parte politica. Curiosamente – e a dimostrazione di una indecente rimozione culturale – il discorso venne apprezzato quasi da tutti. “Quasi” perché chi nutriva pregiudizi ideologici, come i comunisti d’antan, stigmatizzarono la “corrente di simpatia” che si era “miracolosamente” manifestata nella circostanza intorno al cambiamento della forma di governo appunto e, in buona sostanza, per la prospettiva che veniva dischiusa di portare a termine una stagione di riforme che avrebbero modernizzato il Paese.

Sappiamo come andò. Non vorremmo che la consapevolezza oggi diffusa in buona parte dell’opinione pubblica, oltre che nelle forze politiche, venisse disattesa per eccessiva timidezza. Ci sono voluti quasi sessant’anni affinché gli eredi del ciellenismo si affrancassero dalle idiosincrasie mostruosamente coltivate per tanto tempo e si aprissero alle ragioni della modernizzazione istituzionale. Un altro arretramento sarebbe fatale al sistema.

È per questo che pur essendo scettici sulle modalità di intervento ipotizzate per modificare la Costituzione, siamo soddisfatti che il presidenzialismo, già operante in forma impropria e strisciante in ragione dello “stato di necessità” che ne ha determinato la surrettizia introduzione nel sistema istituzionale, oltre che acquisizione popolare diventi con il passare del tempo acquisizione politica anche da parte di forze che tradizionalmente lo osteggiavano.

Se perfino Guglielmo Epifani, leader del Pd, non ha escluso il semipresidenzialismo “con tutti i bilanciamenti del caso”, vuol dire che si è sulla buona strada. Sempre che improvvidi e sciagurati guastatori non tentino proditorie imboscate.

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