Con un trucco, la Cassazione “apre” alle unioni gay. Il Pdl insorge: siamo alla deriva
La Cassazione pone il dubbio che non si possa imporre per legge a una coppia di divorziare se uno dei due ha cambiato sesso. Per questo i supremi giudici hanno chiesto alla Corte costituzionale di esprimersi sulla legittimità, messa in discussione da una coppia emiliana, della legge che disciplina il cambio di sesso e rende automatico la scioglimento del matrimonio. Con la conseguenza che la Consulta sarà chiamata ad esprimersi sul matrimonio di due donne. Per la Prima sezione civile ci sono «fondati dubbi di legittimità costituzionale sul divorzio “imposto” alla coppia coniugata che sia stata attraversata dalla rettificazione di sesso di uno dei due componenti». Nell’ordinanza la Cassazione si riferisce al caso di una coppia emiliana. In seguito al cambio di sesso dell’uomo, con sentenza passata in giudicato, l’ufficiale di stato civile del Comune di Mirandola ha ritenuto che la rettifica del sesso «determinasse l’obbligo di aggiornare anche il registro degli atti di matrimonio», in base all’articolo 4 della legge 164 del 1982 che disciplina la rettifica di attribuzione del sesso. Il Comune ha quindi annotato in calce al certificato di matrimonio lo scioglimento. Le due donne hanno presentato ricorso al tribunale di Modena chiedendo la correzione dell’atto. Il ministero dell’Interno ha presentato reclamo, e i giudici hanno rigettato la domanda. In secondo grado la Corte d’Appello di Bologna nel maggio del 2011 ha ritenuto che procedere alla correzione richiesta «significa mantenere in vita un rapporto privo del suo indispensabile presupposto di legittimità, la diversità sessuale dei coniugi». E contro questa sentenza le due si sono rivolte alla Cassazione sollevando diverse questioni di legittimità. In parte condivise dai giudici di piazza Cavour. Una decisione che fa discutere e apre il dibattito. «La nostra legge – spiega Vincenzo Piso, parlamentare del Pdl – non prevede il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Mi pare che ci sia la volontà di forzare la legge italiana in un modo un po’ furbetto per arrivare in maniera subdola a legittimare i matrimoni tra gay. Ritengo che in primis bisogna rispettare la normativa in vigore». La Cassazione, dice ancora, «da un lato solleva il problema di legittimità dell’organismo che ha preso una decisione univoca di cancellare il matrimonio. Dall’altro contestualmente, (facendosi interprete di un comune sentire secondo cui tra gli italiani c’è un’accettazione ampia delle unioni di fatto), va oltre per legittimare le unioni di fatto e quindi in extremis il matrimonio tra gay. Però fra queste due valutazioni manca quella che è la più importante: in Italia non esistono le norme che permettono il matrimonio tra omosessuali. Bypassare queste norme e anche la Costituzione è, a dir poco, anomalo». Critica anche Lavinia Mennuni, delegata del Comune di Roma alle Pari opportunità e ai rapporti col mondo cattolico: «Desta forte preoccupazione la deriva relativista che sempre più prende piede e lede le fondamenta della famiglia, prima cellula della società costituita da un uomo e una donna». Ognuno, spiega la consigliera capitolina del Pdl, «è libero di vivere come desidera, ma esistono istituzioni quali il matrimonio che derivano dal diritto naturale. Anche nella storia, là dove fosse diffusa l’omosessualità, il matrimonio nascendo per fondare la famiglia e accogliere la procreazione, è sempre stato inequivocabilmente tra un uomo e una donna. A pari diritti dovrebbero rispondere pari doveri, vi è un’artificiosa rivisitazione di questo principio che porta all’estrema conseguenza di considerare, per esempio, oggetto di diritti persino i nascituri e i bambini e non quali invece sono, soggetti di diritti. Spero – conclude Lavinia Mennuni – che la nostra nazione scelga di salvaguardare i valori imprescindibili senza i quali si rischia uno sfaldamento di tutta la società».