Nella depressione economica e morale spunta un segnale di genialità (e solidarietà) dalla “Alessi”
31 Mag 2013 10:05 - di Silvano Moffa
Il lavoro (che non c’è) torna al centro del dibattito. Dopo gli annunci delle settimane scorse e qualche fuorviante anticipazione del Governo siamo ormai alla stretta finale. Vedremo cosa uscirà dal cappello a cilindro. Da quel che si è capito i margini di manovra sono molto stretti. La “buona notizia” del rientro dall’extra deficit europeo, per il nostro Paese non avrà effetti taumaturgici. Né poteva averli. Sarebbe stato meglio evitare di enfatizzare una maggior disponibilità di risorse (7-8miliardi) che al massimo potrà alleggerire la nostra condizione ma certo non modificarla più di tanto se non si faranno le necessarie riforme.
E qui vengono al pettine i nodi irrisolti. Siamo nel pieno della recessione. L’impoverimento della popolazione aumenta. Le imprese chiudono i battenti. I negozi abbassano le serrande. I consumi, anche quelli alimentari, si contraggono ad un ritmo impressionante. Aumentano cassaintegrati e licenziamenti. La disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli che non si registravano da vent’anni e più. Il Paese è allo sbando, sfiduciato, depresso. La sensazione che si stia andando alla deriva sta ormai diventando sentimento comune. Quel che è peggio: si sta offuscando ogni spirito reattivo. È come se fossimo incatenati alla rassegnazione, privi di iniziativa, sprofondati nel mare dell’indistinto, sbiaditi nel carattere e scoloriti nell’identità.
Per rimettere l’Italia in cammino dovremmo prima di ogni altra cosa aprire una riflessione proprio si questo versante. Sul nostro essere “comunità”. Sulle specificità e i punti di forza di quel “genius” italico che ci ha fatto diventare grandi in passato, invidiati e qualche volta emulati dagli altri. E che ora sembra misteriosamente annichilito, ridotto all’impotenza, imbrigliato in una camicia di nesso che rende vano ogni sforzo.
Eppure qualcosa intorno e dentro di noi si sta muovendo. Non ne percepiamo ancora la portata, ma qualche seme si sta seminando. Come sempre avviene in questi casi, quel che sembra impossibile poi diventa mano a mano fattibile. Lo stato di necessità mette in moto i neuroni. Alimenta estro e fantasia. Dal sacrificio emerge il nuovo. Il nuovo, nel caso che di qui a poco prenderemo ad esempio, cambia il paradigma dell’impegno e dimensiona i contorni di un welfare disincrostato dal modello assistenzialista che ne ha segnato il declino.
Ci riferiamo alla encomiabile iniziativa assunta dall’ azienda Alessi. Azienda rinomata. Famosa per la qualità e i design dei suoi prodotti. Azienda che non si è bloccata nell’inerzia di fronte alle difficoltà finanziarie e alla contrazione delle commesse. Pur di non ricorrere alla cassa integrazione, onerosa per lo Stato e improduttiva per la società, ha scelto una strada diversa. Ha deciso di continuare a sostenere, sia pur in forme diverse, il salario dei dipendenti in esubero impiegandoli in lavori socialmente utili. Un messaggio forte, quello di questo imprenditore illuminato. Un messaggio che restituisce dignità al lavoro e centralità alla persona che lavora. Piuttosto che stare a casa in attesa dell’assegno dell’Inps meglio, molto meglio fare qualcosa per la comunità, aiutare chi ha bisogno di assistenza, ripulire i muri delle scuole, sistemare i giardini pubblici, sorvegliare i luoghi, mettere a posto la toponomastica. Con i comuni che hanno sempre meno risorse in denaro e in forza lavoro, impiegare queste persone per mantenere il decoro dell’ ambiente in cui si vive e aiutare chi ha bisogno rappresenta una manna.
Niente di nuovo sotto il sole, per la verità. Di lavori socialmente utili abbiamo fatto esperienza in un passato non troppo lontano. Solo che allora eravamo nel pieno della crisi dei primi anni Novanta, si aprì la partita della stabilizzazione. Molto di quel personale, espulso dalle fabbriche, fini nella pubblica amministrazione, appesantendola oltremodo. Per le già esauste casse dello Stato fu un danno. Ma certo servì a sgonfiare una protesta sociale i cui esiti sarebbero stati imprevedibili.
Nella idea della Alessi si riscontra, invece, un approccio solidaristico diverso. È il privato che si rende socialmente utile. Che dimensiona la sua presenza no-profit. Che muove le leve di un sentimento comunitario più profondo e interconnesso. E per questo più efficace. Vedervi l’articolazione di un capitalismo sociale di portata innovativa non è un azzardo. E’ una piccola frontiera che si apre. Un esempio da riprodurre. Una spinta, in grimaldello per far saltare quel muro di rassegnata impotenza che gela ogni seme di speranza.
L’occasione per riscrivere qualche regola meno vessatoria per un mercato del lavoro asfittico e imbrigliato in una selva di leggi sconclusionate. Una grande occasione per semplificare la vita di chi vuole lavorare. Mettendo la dignità del lavoro prima della stessa entità del guadagno. Non è poco. È già molto per ricominciare.
Per rimettere l’Italia in cammino dovremmo prima di ogni altra cosa aprire una riflessione proprio si questo versante. Sul nostro essere “comunità”. Sulle specificità e i punti di forza di quel “genius” italico che ci ha fatto diventare grandi in passato, invidiati e qualche volta emulati dagli altri. E che ora sembra misteriosamente annichilito, ridotto all’impotenza, imbrigliato in una camicia di nesso che rende vano ogni sforzo.
Eppure qualcosa intorno e dentro di noi si sta muovendo. Non ne percepiamo ancora la portata, ma qualche seme si sta seminando. Come sempre avviene in questi casi, quel che sembra impossibile poi diventa mano a mano fattibile. Lo stato di necessità mette in moto i neuroni. Alimenta estro e fantasia. Dal sacrificio emerge il nuovo. Il nuovo, nel caso che di qui a poco prenderemo ad esempio, cambia il paradigma dell’impegno e dimensiona i contorni di un welfare disincrostato dal modello assistenzialista che ne ha segnato il declino.
Ci riferiamo alla encomiabile iniziativa assunta dall’ azienda Alessi. Azienda rinomata. Famosa per la qualità e i design dei suoi prodotti. Azienda che non si è bloccata nell’inerzia di fronte alle difficoltà finanziarie e alla contrazione delle commesse. Pur di non ricorrere alla cassa integrazione, onerosa per lo Stato e improduttiva per la società, ha scelto una strada diversa. Ha deciso di continuare a sostenere, sia pur in forme diverse, il salario dei dipendenti in esubero impiegandoli in lavori socialmente utili. Un messaggio forte, quello di questo imprenditore illuminato. Un messaggio che restituisce dignità al lavoro e centralità alla persona che lavora. Piuttosto che stare a casa in attesa dell’assegno dell’Inps meglio, molto meglio fare qualcosa per la comunità, aiutare chi ha bisogno di assistenza, ripulire i muri delle scuole, sistemare i giardini pubblici, sorvegliare i luoghi, mettere a posto la toponomastica. Con i comuni che hanno sempre meno risorse in denaro e in forza lavoro, impiegare queste persone per mantenere il decoro dell’ ambiente in cui si vive e aiutare chi ha bisogno rappresenta una manna.
Niente di nuovo sotto il sole, per la verità. Di lavori socialmente utili abbiamo fatto esperienza in un passato non troppo lontano. Solo che allora eravamo nel pieno della crisi dei primi anni Novanta, si aprì la partita della stabilizzazione. Molto di quel personale, espulso dalle fabbriche, fini nella pubblica amministrazione, appesantendola oltremodo. Per le già esauste casse dello Stato fu un danno. Ma certo servì a sgonfiare una protesta sociale i cui esiti sarebbero stati imprevedibili.
Nella idea della Alessi si riscontra, invece, un approccio solidaristico diverso. È il privato che si rende socialmente utile. Che dimensiona la sua presenza no-profit. Che muove le leve di un sentimento comunitario più profondo e interconnesso. E per questo più efficace. Vedervi l’articolazione di un capitalismo sociale di portata innovativa non è un azzardo. E’ una piccola frontiera che si apre. Un esempio da riprodurre. Una spinta, in grimaldello per far saltare quel muro di rassegnata impotenza che gela ogni seme di speranza.
L’occasione per riscrivere qualche regola meno vessatoria per un mercato del lavoro asfittico e imbrigliato in una selva di leggi sconclusionate. Una grande occasione per semplificare la vita di chi vuole lavorare. Mettendo la dignità del lavoro prima della stessa entità del guadagno. Non è poco. È già molto per ricominciare.