Il Pd in brandelli non riesce ad uscire dalla crisi e perde consensi: la scissione s’avvicina

2 Mag 2013 9:53 - di Gennaro Malgieri

Meglio tardi che mai. L’economista Chiara Saraceno, qualche giorno fa, su Repubblica ha rivelato la sua scoperta dell’acqua calda, che, come si sa, a sinistra è un esercizio particolarmente diffuso ed apprezzato. Infatti, ha scritto, a chiare lettere: “Viene da chiedersi se a tenere insieme i vari pezzi del Partito democratico non ci fosse solo l’antiberlusconismo: un collante che trova sempre nuova giustificazione nei comportamenti di chi lo provoca, ma che non è sufficiente a dare identità e motivazione a un partito e ai suoi elettori”.

Finalmente. Più che l’articolo della Saraceno sorprende che il quotidiano di Ezio Mauro, che da vent’anni ha investito sull’antiberlusconismo condizionando tutta la sinistra e soprattutto il Pd, si sia accorto che quella strategia demonizzante e delegittimante non ha portato da nessuna parte. O meglio ha prodotto la fine dello stesso Pd i cui brandelli sono adesso in balia dei marosi. Infatti, come scrive sempre la Saraceno, “non c’è da stupirsi che quando il collante antiberlusconiano è stato esplicitamente depotenziato in una ricerca di ‘ampi consensi’ e ‘larghe intese’, che privilegiavano come partner proprio il nemico’, la fragile intesa su cui il partito si reggeva è andata in frantumi e ognuno per sé”. E ancora: “Il Pd non è mai riuscito ad andare al di là di un assemblaggio di pezzi dei partiti, di potentati diversi. Nonostante la continua evocazione della ricchezza creata dal dialogo tra culture diverse, non c’è mai stata la costruzione di una cultura politica comune, su nessuno dei temi importanti. Al contrario, le divisioni e le inconciliabilità sono rimaste le stesse”.

Un atto d’accusa, da sinistra al Pd, più radicale è difficile immaginarlo. Che venga mosso oltretutto da una delle intelligenze più vive di quel mondo, come la Saraceno, lascia supporre che il partito sbandato, frastornato, avvilito, incapace di rimettersi in movimento dopo gli avvenimenti degli ultimi due mesi, non abbia altra possibilità, come dice sovente Massimo Cacciari, che dichiarare il proprio fallimento e dividersi. Ognuno per la sua strada mentre incombono gli autonomi che ridicolizzano, pericolosamente, i dirigenti Democratici e lanciano un’Opa estremista su tutta la sinistra, come è accaduto a Torino, e non solo, in occasione della Festa del Primo Maggio. Nel capoluogo piemontese il sindaco Fassino è stato duramente contestato, il sindacato messo sotto accusa, il governo delle larghe intese palesemente minacciato ed è assurto ad “eroe” Luigi Preiti, il folle che ha soparato davanti a Palazzo Chigi a due carabinieri il giorno dell’insediamento del’esecutivo.

Chi tiene più a bada questa masnada di “spostati”? La frana del Pd, originata dagli errori sintetizzati dalla Saraceno, sta “liberando” e facendo emergere un radicalismo pericoloso che si rivolge in primo luogo contro quel simulacro di partito, ritenendolo responsabile del default della sinistra. E poi contro la società italiana nel suo insieme attizzando il conflitto sociale che cova (ma per quanto ancora?) sotto la cenere e viene alimentato dalla crescente disoccupazione e dall’impoverimento incontrollabile delle famiglie.

C’è di che essere preoccupati. Anche perché le istituzioni non si mostrano all’altezza del drammatico momento. Tanto per dire: la presidente della Camera, Laura Boldrini, celebrando la ricorrenza di ieri a Portella della Ginestra, ha ribadito, incurante dello sconcerto e degli equivoci che le sue parole avrebbero potuto ingenerare, la sua tesi già nota: “L’emergenza occupazionale – ha detto – fa sì che la vittima diventi carnefice, come purtroppo è successo nei giorni scorsi davanti a Palazzo Chigi”. Incautamente non ha tenuto conto delle osservazioni di chi le ha fatto notare che parole del genere sono come minimo inopportune in un contesto tanto pericoloso quale quello in cui viviamo. Dall’alto della sua prosopea, dimostrata in varie occasioni da quando è salita sullo scranno più alto di Montecitorio, se n’è bellamente fregata delle opinioni altrui e s’è rilanciata in azzardate valutazioni che certamente non contribuiscono a svelenire il clima.

La sinistra, dunque, scontando il vizio d’origine dell’antiberlusconismo militante e funzionale alla sua precaria coesione, non è stata in grado di elaborare una strategia unitaria, darsi una cultura politica, valutare i sommovimenti sociali che in primo luogo si sarebbero rovesciati su di essa. Adesso la sua crisi si sta sovrapponendo a quella più generale del Paese. E, per disgrazia di tutti, non c’è nessuno da quelle parti che leninianamente si chieda “Che fare?”.

 

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