Un solo precedente: quello di Celestino V, l’eremita del “gran rifiuto”
La storia dell’Occidente cristiano conosce un solo precedente, quello di Pietro del Morrone, papa col nome di Celestino V (nato nel 1210 e morto nel 1296). Il pontefice del dantesco “gran rifiuto” era originario della Contea del Molise, figlio di contadini e penultimo di dodici fratelli. Decise di farsi eremita nel 1231 e ottenne il permesso dal Pontefice dopo un viaggio a Roma. Si ritirò quindi sulla montagna del Morrone, situata a oriente della conca Peligna, dove visse alcuni anni in una caverna. La santità della sua vita attirò molti pellegrini, e per evitarli, nel periodo tra il 1240 e il 1245, Pietro, che d’ora in poi sarà chiamato Pietro del Morrone, fuggì sui monti della Maiella dove con altri confratelli fondò un eremo, S. Spirito a Maiella, che seguiva la regola di San Benedetto (il santo da cui Ratzinger ha preso il nome). Pietro ebbe contatti con gli Spirituali che seguivano l’insegnamento di Gioacchino da Fiore e che attendevano una nuova era della Chiesa purificata. Presto i possedimenti della Congregazione eremitica divennero numerosi in tutta la regione centro-meridionale e lo stesso Pietro del Morrone risanò alcuni monasteri che fu chiamato a dirigere. La sua fama oltrepassò ben presto l’ambiente abruzzese dove operava: Pietro era conosciuto ormai in Curia, nel Collegio cardinalizio, alla corte di Napoli. Fu Carlo II d’Angiò a sponsorizzare la sua elezione al soglio pontificio nel 1294. “Il 18 luglio ricevette nella sua cella gli emissari del Collegio cardinalizio e il cardinale Pietro Colonna e accettò l’elezione quando gli fu detto che, rifiutando, avrebbe commesso un peccato mortale”. La cerimonia con cui Pietro del Morrone divenne Celestino V si svolse all’Aquila, dove l’eremita si presentò a dorso di un asino, circostanza criticata dai cardinali ma interpretata dal popolo come la prova che si era in presenza dell’attesso “papa angelico”.
Presto Celestino fu consapevole della sua incapacità a reggere le sorti della Chiesa e si fece consigliare da cardinali esperti in diritto canonico come Benedetto Caetani, divenuto poi suoi successore col nome di Bonifacio VIII, che lo convinse della validità canonica delle dimissioni di un papa, il che gli valse l’accusa, ingiustificata, di aver agito per motivi personali. Celestino V fece mettere per iscritto, in una forma che corrispondeva alla semplicità della sua mente, le ragioni che lo spingevano all’abdicazione: soprattutto l’infermità, ma anche la mancanza di sapere e il desiderio di ritirarsi nella pace della cella da eremita. Il suo pontificato durò cinque mesi e nove giorni. Dieci giorni dopo l’abdicazione, come prescriveva la costituzione di Gregorio X, i cardinali si riunirono per eleggere il nuovo papa. Già il giorno successivo, il 24 dicembre, uscì dal conclave Benedetto Caetani che assunse il nome di Bonifacio VIII. Pietro aveva lasciato intendere che dopo le sue dimissioni avrebbe voluto tornare nel suo eremo al Morrone. Temendo però che egli potesse revocare la sua abdicazione, provocando uno scisma nella Chiesa, Bonifacio VIII, ignorando gli accordi presi in precedenza, decise di non permetterglielo e di porlo sotto sorveglianza. A Castel Fumone il vecchio eremita visse agli arresti in una piccola cella nella torre, al riparo da indesiderati pellegrini. Morì la sera del 19 maggio, nell’ottantasettesimo anno di età.