«L’astensionismo è una diserzione»
Sfida la superstizione e confessa di sentire profumo di vittoria, «mille segnali mi confermano questo stato d’animo». Nello Musumeci da Palermo lancia gli ultimi fendenti prima del voto di domenica, reduce dal bagno di folla di Gela (ha regalato una foto della piazza piena ai giornalisti per smentire «certe notizie apparse sulla stampa»). Il candidato favorito alla presidenza della Regione siciliana (gli ultimi sondaggi lo attestano intorno al 33 per cento contro il candidato del Pd “fermo” al 30 per cento), nella sua ultima conferenza stampa nel capoluogo, conferma le parole d’ordine della sua discesa in campo per riscattare, come la chiama, la «comunità siciliana» che si è rassegnata ma anche contribuire a tirare su il morale a un centrodestra sfilacciato. Con un colpo a sorpresa, ma solo per chi non conosce il personaggio, apre a tutte le opposizione e definisce una «diserzione» la scelta astensionista.
«Lancio un messaggio di grande apertura alle opposizioni, io non ho nemici ma avversari. Non ho vendette da consumare nei confronti di alcuno. Il mio obiettivo è ricostruire una politica da amare». Appoggiato da Pdl, Pid e Destra, Musumeci si riferisce apertamemente al Movimento 5 stelle, che ieri ha parlato a Catania con le piazze piene, considerandolo un «valido interlocutore» perché manifesta «nausea per una certa politica, pur con un grave deficit di progettualità, non credo che possano tirarsi indietro». Il sogno di una politica nuova, in risposta alla situazione drammatica dell’isola strangolata dalla criminalità e dal malaffare, può passare per la saldatura con gli elettori del comico genovese. Forte del suo pédigree, i primi passi in politica nelle file del Msi risalgono alla fine degli anni ‘60 (alle europee prese migliaia di voti più di Gianfranco Fini), rivendica una storia pulita e trasparente. «Una classe dirigente non si inventa su due piedi. Per la prima volta ho ottenuto che fosse applicato il regolamento della commissione antimafia. È già un filtro», risponde a proposito di persone indagate o chiacchierate nelle liste vicine. Lo aveva annunciato all’alba della campagna elettorale e lo ha fatto: «Ho lanciato un appello a tutti, ma nei partiti c’e ancora una forma di autoreferenzialità. È vero che occorre dotarsi di un codice etico ma io sono con la coscienza a posto». Troppo poco? Una «rivoluzione non si può fare in poche settimane». A sostenerlo sono scesi in tanti (pure l’ex governatrice del Lazio, Renata Polverini). Anche ieri Angelino Alfano ha speso parole di grande apprezzamento per il candidato di centrodestra, «l’unico capace di restituire alla Sicilia la reputazione che merita». Però, avverte il segretario pidiellino, nel day after l’uscita dalla corsa a Palazzo Chigi di Berlusconi, il voto siciliano non condizionerà quello nazionale, «perché qui c’è l’accordo tra Bersani e Casini, a Roma c’è tra Bersani e Vendola e non credo che in caso di vittoria di Crocetta Bersani smonti l’accordo con Vendola per farlo con Casini. Noi siamo soli e qualunque cosa accada in Sicilia non ci saranno riflessi a livello nazionale». A bocca asciutta chi ha tentato di alzare polveroni per il sostegno della Polverini. Musumeci non teme di essere sfiorato dalle polemiche per gli scandali consumati altrove. «È qui come sindacalista», ma «la mia identità è così forte che gli elettori la riconoscerebbero anche se fossi immerso in un bagno di melma». Se vince fa tre cose, subito. Una decurtazione netta del fondo a disposizione del presidente per le spese non rendicontabili, «sempre usate in modo oscuro», la riduzione immediata dei soldi ai gruppi parlamentari «che adesso sono un’enormità» e il taglio degli emolumenti ai deputati regionali «perché non possono guadagnare certe cifre in una Sicilia dove il 29,7% delle famiglie è sotto la soglia di povertà». Ma è sul capitolo-mafia che ha molte cose da dire e da recriminare. «Nel caso in cui dovessi vincere, la Regione si costituirà parte civile nel processo per la tratttativa tra Stato e mafia». Non manca qualche colpo basso nella competizione sostanzialmente ridotta a tre: Gianfranco Miccichè sostenuto da Mpa, Grande Sud e Fli, e Rosario Crocetta appoggiato da Pd e Udc. «Non so se ci sia un patto formalizzato tra Miccichè e Crocetta, ma è certo che ci siano ambienti lombardiani che da lunedì hanno deciso di far votare Crocetta. Il dato è che Miccichè è ormai fuori gioco», dice Musumeci. «Solo così possono impedirmi l’elezione e quindi mantenere il blocco di potere che negli ultimi anni ha governato la Sicilia»