Che colore ha la politica? Tendente al grigio

31 Ott 2012 20:24 - di

C’è un aspetto del movimento di Grillo ancora non analizzato, e tuttavia significativo. Che si tratti di un’iniziativa politica post-ideologica non c’è dubbio, e tutti ne hanno preso atto, di qui la difficoltà a inquadrare i 5 Stelle nell’asse classico destra-sinistra. Ma c’è un altro elemento che lo conferma: la mancanza di un colore di riferimento, di vessilli, di bandiere, persino di un inno, fino a ieri connotati tradizionali dei raggruppamenti politici, in qualche modo legati alle istanze novecentesche. Il legame tra colori e politica è noto, ed è stato sottolineato nei suoi studi da uno dei massimi esperti dei significati simbolici legati alla scala cromatica, Michel Pastoreau.
A tutte le famiglie politiche possiamo attribuire un colore. Persino ai partiti di nascita recente: l’azzurro al Pdl, il verde alla Lega, il rosso ai partiti di sinistra, il viola ai movimenti di piazza giustizialisti. Quello di Grillo è invece un movimento incolore, il cui marchio è la stessa immagine del capo, senza simboli forti di riferimento e senza che un colore specifico trasmetta idee e valori all’immaginario degli attivisti. Nato e sviluppatosi attraverso la rete, che è priva di colorazione, il raggruppamento dei 5 Stelle riunisce in sé tutti i colori annullandoli. Pastoreau nota infatti che l’incolore e il policromo possono essere equivalenti.
Certo ai più quello del colore sembrerà un dettaglio di poco conto. Invece la storia dei colori, e anche il loro uso politico, è largamente intrecciata a quella delle civiltà, delle idee e persino dei pregiudizi e il dosaggio cromatico nel presentare il prodotto-partito è ben presente nei piani di qualsiasi esperto di marketing. Pastoreau spiega che «tutti i sondaggi d’opinione dalla Seconda guerra mondiale a oggi mostrano con straordinaria regolarità che il blu è il colore preferito di più della metà della popolazione europea, molto più del verde (circa il 20 per cento delle risposte) e del rosso (8-10 per cento)… Benché non raggiungano precentuali così elevate, anche negli Stati Uniti, in Canada, in Australia e in tutti gli altri paesi del mondo occidentale, il blu risulta il colore preferito». Paradossalmente al posto più basso nella scala delle preferenze cromatiche si colloca il giallo, colore delle cinque stelle che appaiono nel simbolo del movimento di Grillo. Ma il giallo è anche il colore della luce e del calore, quello della prosperità e della ricchezza, quello dell’energia e della vitalità, e infine colore della follia e della stravanganza (associazione che risale al XIII secolo).
Le sfumature sono importanti. L’impressione che riceviamo dalla colorazione prevalente di un ambiente non influenza solo il nostro giudizio estetico ma anche il nostro umore, innescando un meccanismo di attrazione o di repulsione. È sempre Pastoreau a raccontarlo, parlando del suo primo viaggio in un paese governato da un regime comunista, la Germania Est: «Ciò che mi colpì maggiormente durante quel primo viaggio non fu la rigidità dell’ambiente universitario né lo stile spartano della naggior parte degli hotel, e ancora meno il tono dei discorsi scambiati nel corso dei diversi incontri… Ciò che mi impressionò in modo più acuto e dolorso fu lo spettacolo della strada. L’atmosfera cromatica era imparagonabile a quella che si poteva vedere in Occidente… Là, nelle grandi città della Germania Est, tutto o quasi tutto era grigio o marrone. Non necessariamente vecchio, sporco o deteriorato, ma grigio triste e marrone sciatto, come stinto…». In quel caso lo studioso fu colpito dall’assenza di vivacità di stili di vita che si volevano uniformi e, appunto, “sbiaditi”.
Ma la passionalità politica ha bisogno dei colori come se fossero slogan imperituri ed è il caso di chiedersi, a questo proposito, se le attuali convention di tutte le forze politiche (prive di simboli e di bandiere) non siano proprio per il loro grigiore cromatico il simbolo di una crisi irreversibile. Una crisi che però inquina anche il neonato movimento 5 Stelle, che si affida più alla forza della parola iconocalsta del leader che alla coreografia.
Un tempo c’erano il rosso dei partiti progressisti e di derivazione socialista, il nero anarcoide dei postfascisti e il bianco equidistante del centro. Dobbiamo rassegnarci a dire addio a quelle sfumature che tanto hanno significato nella storia dei partiti e dei movimenti anche se la potenza dei colori resta intatta e porta con sé un’energia latente pronta a riesplodere in tutta la sua pienezza se qualcuno si degnerà di associalrla ancora alla propaganda politica. Il rosso è il colore della vita e del fuoco, dell’amore e del gioco, della materia e della festa (nelle campagne nel Medioevo per sposarsi ci si vestiva di rosso). Il nero è il colore dell’anarchia e della violenza, ma anche dell’autorità, dell’eleganza e del lusso. Infine il bianco è il colore della purezza, della pace, della saggezza e del divino. Tonalità talmente connotate da rendere impossibile associarne i significati profondi alle parole d’ordine di una politica in preda alla Babele dei linguaggi.

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