Gli antifascisti gongolano: «Non siete più migliori di noi»
L’affaire Pdl-Lazio ha dato la stura a una cloaca di fango. E non intendo quella della gestione allegra dei fondi del gruppo, ma quella che viene riversata addosso a un mondo umano che per mezzo secolo ha incarnato dei valori veri. Un mondo unico nella storia d’Italia, con politici che non si arricchivano, giornalisti che non mentivano e ragazzi che si facevano ammazzare per tenere alta una bandiera. Filippo Ceccarelli, su “Repubblica”, ostenta una ironica soddisfazione per il fatto che «finalmente», proprio quelle persone da lui e dai suoi profondamente odiate, ma anche forse invidiate perché al contrario di tutti dei valori li avevano, siano ora legittimo oggetto di sputi e pubblico ludibrio. «Sono cresciuti con il mito della patria, dell’ordine, della gerarchia, dell’onore, della tradizione…», scrive Ceccarelli, per poi esprimere quasi delusione per il fatto che persino “loro”, gli ex-missini, siano finiti per razzolare nel trologo del magna-magna. Forse ricorderà Ceccarelli anche i decenni in cui le persone che crescevano in quei valori, proprio per quello venivano coperti di sputi e esposti al ludibrio con cartelli al collo con scritto “fascista”. È continuato ad accadere fino agli anni ’80. E perché credevano nell’onore venivano ammazzati e giornali come “Repubblica” inventavano faide interne per depistare le indagini. Il problema vero è che la soddisfazione che esprime Ceccarelli – condivisa oggi da decine di giornalisti – è nel vedere quelli che persino i nemici in cuor loro dovevano ammettere essere “migliori” finalmente essere diventati “come tutti gli altri”. Come i magistrati che vendono i processi, i giornalisti pagati per mentire, i politici bugiardi, i cialtroni che si buttano nell’amministrazione per poter vivere come nei cinepanettoni senza bisogno di lavorare. In fin dei conti – ahimé – è l’ambizione di un gran numero di italiani, a cui è stato insegnato che la politica serve a questo. Anzi, “solo” a questo. Sì, è vero, ce lo siamo meritato. E io sono l’ultimo che si può permettere di parlare perché – come ricordano i vari Ceccarelli – non ho mai rubato un centesimo ma ho fatto tre anni di carcere “per banda armata”, anche se nella sentenza c’è scritto che non ho mai commesso alcun atto illegale o posseduto fosse anche solo una pallottola… Ma i Ceccarelli lo sanno, come sanno che per quattro veri o presunti ex-missini finalmente presi con le mani nella torta, ce ne sono centinaia, anche bene in vista, su cui andrebbero scritti articoli con altrettano rilievo interrogandosi su come abbiano fatto a passare anche per alti incarichi senza mettersi un euro in tasca e al termine dell’esperienza avere ancora lo stesso tenore di vita che avevano prima. Il fatto è che questi altri sono quelli che veramente fanno paura, perché ora che non puoi più ucciderli sostenendo che “non è reato” e non puoi metterli alla gogna, né come fascisti né come ladri, ti ricordano con la loro stessa esistenza che si può anche vivere con onore, servire la Patria anziché servirsene, illudersi che dei valori ancora abbiano senso. E allora uno poi dovrebbe farsi una domandina – anch’essa non del tutto innocente – anche su se stesso.