Ennesimo attacco di Obama a Teheran
Obama vincerà, d’accordo, ma è proprio vero che tutto il mondo è Paese: in campagna elettorale i colpi sotto la cintura non si negano a nessuno, dall’una e dall’altra parte. Si va dai fotomontaggi sul sito di Mitt Romney che ridicolizzano Barack Obama, a rivelazioni vere o presunte tali sul conto di questo o quell’esponente democratico o repubblicano. E tutti i mezzi sono buoni per riconquistare porzioni di elettorato perse per via. A Tampa, dove si è svolta la convention repubblicana, Romney è giunto a sconfessare il programma dei repubblicani sull’immigrazione, pur di riprendere qualche voto ispanico. E Obama, nelle ultime ore, non ha esitato a sferrare un ennesimo, durissimo, attacco dal palco dell’Assemblea delle Nazioni Unite all’atomica di Teheran. Atomica che esiste solo negli incubi degli sherpa del Pentagono, ma che nella realtà non esiste ancora. Gli Stati Uniti – ha detto il capo della casa Bianca – non accetteranno mai che l’Iran si doti dell’arma atomica e dal podio dell’Assemblea generale dell’Onu ha avvertito Teheran che il tempo per la diplomazia «non è illimitato» e che l’America farà «quello che deve» per impedirlo. Obama ha invitato i diplomatici mondiali a tenere presente che sono passati meno di due anni da quando un ambulante tunisino si è dato fuoco innescando la Primavera araba, «e da allora il mondo è affascinato dalle trasformazioni che sono avvenute». E nell’ultimo anno pacifiche transizioni di potere ci sono state anche in Malawi e Senegal, mentre in Somalia è stato eletto un presidente e in Birmania sono state avviate serie riforme politiche. Obama si deve essere accorto che favorire la cosiddetta Primavera araba ha portato agli Usa più svantaggi che vantaggi, aprendo le porte del potere del mondo arabo ai fondamentalisti o presunti tali. Almeno questa è la percezione degli elettori americani che simpatizzano con Israele o comunque non simpatizzano con i musulmani. E ora il presidente deve recuperare questa vasta area che tendenzialmente sceglierà Romney, e quale miglior modo per farlo che attaccare ancora l’Iran e il rischio che lanci la bomba su Israele?
È molto spettacolare, ma poco rispondente alla realtà: perché gli istituti di ricerca mondiali e gli analisti americani non mettono tanto in guardia verso questa fantomatica atomica iraniana, quanto su quella reale nordcoreana: Pyongyang infatti, secondo la Defense Intelligence Agency, detiene dalle 12 alle 15 testate, pronte per essere spedite su Seul o Tokyo. L’intelligence della Corea del Sud ritiene invece che ne abbia solo sette, comunque sufficienti per la bisogna.
Parlando della Siria – ovviamente a senso unico – Obama ha detto che il dittatore Assad ha «il sostegno dell’Iran, un Paese che appoggia gruppi terroristi all’estero e che più volte si è lasciato sfuggire l’opportunità di dimostrare che il suo programma nucleare è pacifico». Gli Usa – ha continuato – «vogliono risolvere questa questione attraverso la diplomazia, e riteniamo che ci sia ancora spazio per farlo. Ma il tempo –ha avvertito da quello stesso podio dal quale oggi parlerà Mahmud Ahmadinejad – non è illimitato. E che sia chiaro: l’Iran con l’arma nucleare non è una sfida che può essere contenuta. Minaccerebbe l’eliminazione di Israele, la sicurezza dei Paesi del Golfo e la stabilità dell’economia globale. Ed è per questo che gli Stati Uniti faranno ciò che devono per impedire all’Iran di ottenere l’arma nucleare». Quindi – ammette lo stesso Obama – l’Iran non ce l’ha. Inoltre ai più sfugge che, se Teheran lanciasse la bomba su Israele, verosilmente morirebbero più arabi che ebrei, poiché vivono e lavorano nello stesso fazzoletto di terra, quindi Ahmadinejad (quando ce l’avrà) si guarderebbe bene dall’attaccare Israele con questo tipo di armi. E ancora, tra israeliani e palestinesi – ha detto – «il futuro non è di chi volta le spalle alla pace, perché la strada è dura ma la destinazione è chiara, un sicuro Stato di Israele e una Palestina prospera e indipendente». In un altro passaggio ha definito «rozzo e ripugnante» il video anti-islamico, ricordando l’ondata di violenta collera islamica che ha provocato in tutto il mondo, costata a Bengasi la vita all’ambasciatore americano in Libia Chris Stevens. E proprio parlando di Stevens Obama ha iniziato il suo discorso, ma ha scelto di parlare dell’ambasciatore in Libia anche per concludere il suo intervento, affermando che in suo nome «decine di migliaia di persone hanno marciato nelle strade di Bengasi contro la violenza». Tra l’altro, si è appreso che la delegazione americana non sarà presente all’intervento del presidente iraniano previsto in queste ore. In ogni caso i rappresentanti dei cinque Paesi membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu e della Germania si riuniranno oggi, a margine dell’Assemblea generale dell’Onu, per discutere dell’Iran e del suo programma nucleare. Lo ha annunciato un responsabile americano a New York. Questa riunione del gruppo cosiddetto “5+1” (Stati Uniti, Cina, Russia, Regno Unito, Francia e Germania) si terrà «a livello ministeriale», ha indicato il diplomatico.