Cambio di marcia per tornare a vincere
Marciare divisi per colpire uniti? Senza aver risolto il grattacapo della legge elettorale qualsiasi ipotesi di formule e scenari di alleanze è appesa a un filo. E il primo a saperlo è Silvio Berlusconi, che è tornato in prima linea (non si esclude una imminente apparizione televisiva) ma non sembra intenzionato a scendere in campo per Palazzo Chigi. Mentre la stampa ricama ancora su scissioni interne al Pdl, secondo lo schema di un presunto ritorno a Forza Italia da una parte e di una nuova formazione post-An, lo stato maggiore riunito da Angelino Alfano e dal Cavaliere ribadisce la linea della compattezza. Che non significa caserma: nessuno è così Pinocchio da negare che esistano diverse “sensibilità” su come ripartire e quache frizione. Rifondazione, azzeramento dei quadri locali che non funzionano, criteri certi nella selezione delle candidature che Alfano intende lanciare in una grande assemblea nazionale per il Rinascimento azzurro, con l’obiettivo di tornare ad essere il primo partito italiano. Una mission difficile ma ancora più necessaria dopo il corto circuito dovuto agli scandali della Pisana.
Al vertice di metà mattina che si è svolto a Palazzo Grazioli erano presenti i capigruppo di Camera e Senato e i coordinatori del partito di via dell’Umiltà per un nuovo punto sulle questioni interne: il caso Lazio domina ancora la scena anche perché l’ex governatrice continua a lanciare strali e messaggi cifrati. Sul caso Fiorito di più non si poteva fare (invitato ad autosospendersi, poi messo alla porta con mezzi molto spicci), il segretario Angelino si sente a posto e rilancia la palla dall’altra parte del campo. Ai Bersani e ai Montino manda a dire tramite twitter che «non avranno Batman, ma qualche Robin o Catwoman forse ce l’hanno. Bersani lo chieda ai suoi. Noi il coraggio di cambiare lo abbiamo. E il Pd?». Nessuna nota ufficiale dopo la lunga riunione a via del Plebiscito che ha spaziato dalle contromosse immediate alla “road map” che separa l’ultimo scorcio di governo Monti dal voto, con gli occhi puntato su una campagna elettorale tutta in salita, non solo per il Pdl. Solo Maurizio Gasparri si ferma a parlare con i cronisti e lascia capire che il nodo della riforma elettorale, sul quale il Pd continua a fare muro, è stato uno dei temi forti dell’incontro. «C’è un testo al Senato firmato da me e da Quagliariello. Vogliamo ridare ai cittadini la possibilità di scegliere». Il presidente dei senatori pidiellini conferma le due richieste “storiche”: preferenze e premio di coalizione al partito che prende più voti. A distanza, però, Anna Finocchiaro intona lo stanco refrain dell’irresponsabilità del centrodestra in vista della possibilità che si vada al voto con il porcellum. Per la senatrice del Pd il ritorno di Berlusconi rappresenta un freno al sistema decisionale («c’è un sacco di roba importante al Senato che resta ferma, impantanata. S’è visto anche sulle rappresentanze di genere»). Quagliariello la smentisce subito ricordandole che la legge elettorale vigente non prevede alcun meccanismo che garantisca un’adeguata presenza
femminile in Parlamento, mentre la proposta presentata dal Pdl «consente all’elettore di esprimere fino a tre preferenze e impone, nel caso in cui le preferenze espresse
siano più di una, che i candidati prescelti siano di sesso diverso».
Ignazio La Russa insiste sulla necessità di battere tutte le strade per tornare a vincere. Con qualsiasi strumento “tecnico”. «Non abbiamo mai usato la parola scissione: in accordo con Berlusconi, Alfano e gli altri, stiamo studiamo il modo migliore per vincere». Nessuno strappo, nessuna corsa verso nuovi lidi? «Se il modo migliore per vincere è stare uniti a testuggine oppure formare falangi separate per colpire uniti, lo valuteremo e lo perseguiremo», risponde l’ex ministro della Difesa, «l’obiettivo è riconquistare i milioni di elettori ora indecisi». Si può fare tutto, «nessun criterio è precluso», continua La Russa, «tranne quello della lite». Tornare a vincere, facile a dirsi più difficile a farsi. Serve anche un bagno di umiltà, dicono le seconde file, i dirigenti più movimentisti che vivono la strada e toccano con mano la rabbia e la delusione crescente. Umiltà «perché «bisogna far tornare gli elettori a credere che esiste una buona politica, che non siamo tutti uguali». Metodo e contenuti: le prossime ore saranno decisive per i vertici del partito per mettere a fuoco l’agenda delle priorità, a partire da una seria riflessione sulla riforma dei partiti e l’abolizione del finanziamento alla politica. «Riflettendo sulla situazione, credo che dobbiamo decidere di delegare al Presidente Silvio Berlusconi e al segretario politico Angelino Alfano il mandato di proporre un nuovo modello di partito, nuovi criteri di selezione dei candidati alle cariche elettive, un nuovo sistema di finanziamento dei partiti, un programma per modernizzare l’Italia che possa costituire la base di una rinnovata alleanza dei moderati». Parola del sobrio Sandro Bondi. Dalle colonne de La Stampa, ruggisce anche Giorgia Meloni: «Lo scandalo del Lazio e la crisi dei partiti ci dovrebbero insegnare che il male assoluto è la cooptazione. L’Italia ha bisogno di idee e di persone libere, oneste, non dei leccapiedi. La degenerazione è figlia delle oligarchie dei partiti». L’ex ministro della Gioventù fa un passo in avanti, «è «semplicistico dire “azzeriamo tutto”, “rottamiamo la classe dirigente”, il problema non è anagrafico, anche perché se la selezione della nuova classe dirigente avviene attraverso i casting, la bellezza, la telegenia, i curricula e le liste bloccate, siamo punto e a capo». Una richiesta di cambio di marcia e una critica, neppure tanto velata, a certe consuetudini e a un certo dirigismo. Per «rompere i chiavistelli che tengono chiuse le porte delle segreterie di partito», “l’arma” della Meloni, che rappresenta una bella fetta di partito e la totalità dei giovani pidiellini, si chiama primarie. «Se fossi in Berlusconi pretenderei di essere scelto con le primarie».