Un fiume di fiaccole per ricordare Paolo
Palermo, piazza Vittorio Veneto. Sono le 20 e la città splende alla fine di un caldo pomeriggio isolano. Sono trascorsi vent’anni da uno dei giorni più cupi della storia siciliana. Una pagina oscura, indecifrabile, contorta. Riccorre l’anniversario della strage di via D’Amelio. Vittime Paolo Borsellino ed i cinque ragazzi della scorta. Attorno agli striscioni della Giovane Italia e dell’associazione XIX Luglio si stringono migliaia di palermitani e non solo. Da Catania, da Messina, da Ragusa, da Trapani, da Sciacca e Caltanissetta sono confluiti militanti e attivisti, cittadini e famiglie, a celebrare un rito comunitario ed identitario che si perpetua da anni. Ma tutt’Italia si è mobilitata, dal Veneto alla Calabria sono presenti centinaia di rappresentati degli enti locali, sindaci, parlamentari, esponenti della società civile, professionisti.
Accanto ai dirigenti storici del Fronte della Gioventù, di Azione Giovani e della Giovane Italia, una generazione nuova che, il giorno della strage, quel maledetto 19 luglio, non era ancora nata. Un volantino, diffuso dagli organizzatori, nega spazio a “comizi e beceri protagonismi degli sciacalli e dei turisti dell’antimafia”. I manifestanti sono invitati alla sobrietà, al silenzio, a non fare passerelle. Si propongono due riflessioni. La prima è connessa alla storica militanza di Paolo Borsellino nel Fuan, movimento giovanile universitario di destra. Si rivendica l’impegno di generazioni di militanti contro la mafia. La seconda è la lunga ombra di inquietudine che affiora dalla trattativa fra Stato e mafia. Ma il documento ribadisce anche l’importanza del 41 bis, invoca politiche antiriciclaggio e trasparenza negli appalti, destinazione ai giovani dei beni confiscati alla mafia, presenza dello Stato al fianco di chi denuncia. Segna il passo delle parole d’ordine declinate dal fronte dell’impegno antimafia.
Il corteo, aperto dal tricolore, si muove silenzioso e composto lungo via Vittorio Veneto, con le fiaccole accese nel buio della notte, come amava definire Paolo i giovani siciliani. Una marea di persone – cinquemila secondo gli organizzatori – che attraversa i grattacieli della città moderna misti alle architetture liberty e dai giardini inattesi. Palermo osserva silenziosa, rispettosa, come del resto è consuetudine della manifestazione che non reca striscioni, bandiere e simboli di partito. Qualcuno applaude dai balconi, altri accendono fiaccole. Lungo il dedalo d’asfalto i venditori ambulanti di panelle, gli uffici della munifica Regione Siciliana, il corteo si ferma più volte. La manifestazione giunge a via D’Amelio. E’ un brivido per tutti. Dal palco si sforano tutti i tempi preventivati e concordati. Marco Travaglio arringa la piazza, si esercita in disamine forbite, strappa applausi facili. Il popolo delle “agende rosse” gremisce via D’Amelio in una baraonda da comizi di fine campagna elettorale. Dopo circa una ventina di minuti Travaglio termina la sua performance, viene annunciato l’arrivo del manifestazione “parallela”. Il corteo viene autorizzato a collocare sotto il portone della casa della madre di Paolo Borsellino un tricolore. Il servizio d’ordine vuole impedire l’accesso a Ignazio La Russa. Partono spintoni, improperi, si grida ai fascisti. Nonostante il palese ostruzionismo, sotto l’ulivo di Borsellino viene collocato il tricolore. Si intona l’inno nazionale. Un brivido attraversa il volto dei militanti. Una parte della piazza fischia. Poi un applauso di nervosismo e di liberazione. Infine di nuovo spintoni, ressa, contestazioni e fischi ad Alfano. «Al nostro arrivo in via D’Amelio, al termine della fiaccolata, siamo stati insultati e quasi aggrediti dal movimento delle “agende rosse”. Siamo stati cacciati via, non era mai successo in questi anni», denuncia Mauro La Mantia, presidente regionale della Giovane Italia, tra gli organizzatori della fiaccolata cui hanno partecipato, tra gli altri, Angelino Alfano e Gianni Alemanno. Il movimento ha indetto per questo pomeriggio alle ore 17 in via D’Amelio una conferenza stampa «per denunciare quanto successo. La violenza verbale e la prepotenza mostrata dal movimento delle “agende rosse” – aggiunge La Mantia – rappresenta una ferita indelebile per Palermo e l’oltraggio alla memoria di Paolo Borsellino nel ventesimo anniversario del suo assassinio».
La gente comune è attonita. I manifestanti compostamente si asserragliano dinnanzi al murales “Paolo vive”, qualcuno intona senza seguiti “il Domani appartiene a noi”, sedato dal servizio d’ordine. A molti sembra semplicemente di vedere un vecchio film. Nella piazza della “agende rosse” risuonano le parole di Daniele Silvestri. Il silenzio è violato. Le passerelle si sono consumate. L’isola è salva.