Alfredo Mantica: «Non è stato un trionfo italiano»

19 Lug 2012 20:10 - di

Tutti felici per la liberazione della giovane Rossella Urru che, dopo il suo rapimento il 23 ottobre scorso in Algeria, è stata liberata due giorni fa in Mali. Il più contento di tutti è il premier Mario Monti, che nell’entusiasmo del momento – o forse per dovere d’ufficio – ha detto: «Ho seguito attentamente il lavoro degli organi dello Stato che con professionalità e impegno si sono prodigati per la liberazione della nostra connazionale. Li ringrazio per questo ulteriore successo che l’Italia può segnare nella lotta contro il terrorismo internazionale, rafforzando il sentimento di sicurezza che l’appartenenza alla comunità nazionale assicura agli italiani che operano nel mondo».
Successo contro il terrorismo internazionale? Noi avevamo capito invece che ora i terroristi di al Qaida, o della sua scheggia “Movimento per l’unità e la jihad in Africa occidentale” (Mujao), dispongono di trenta milioni di euro in più rispetto a prima, e che inoltre altri tre (se non quattro) pericolosi salafiti detenuti sono stati liberati. Pensate quante cose si possono comprare con trenta milioni, è un po’ come una vincita al Superenalotto… D’altra parte Mohammed Ould Hicham, esponente del Mujao, aveva ben detto all’Afp: «Considerateli liberi perché le nostre condizioni sono state rispettate». Le condizioni per il rilascio – ha spiegato – erano la liberazione di tre prigionieri islamisti, «detenuti da un Paese islamico», e il pagamento di un riscatto. Punto. Più chiari di così… Ma finita l’emergenza ostaggi (un solo italiano è ancora nelle mani di rapitori all’estero), torna ad affacciarsi quella dei nostri due marò, vicenda nella quale il governo italiano ha inanellato un’altra brutta figura, altro che credibilità internazionale.
Di tutto questo abbiamo parlato con il senatore Alfredo Mantica, sottosegretario di Stato agli Esteri nel secondo, terzo e quarto governo Berlusconi, con delega per l’Africa e il Medio Oriente. Ha viaggiato il continente in lungo e in largo e conosce le dinamiche africane.

Senatore, è contento per il rilascio della giovane Rossella Urru?

Contentissimo, veramente, perché è una ragazza molto in gamba, molto determinata, come del resto moltissimi nostri cooperanti. Per fortuna è andata così e siamo contenti.

Che ruolo abbiamo avuto nella risoluzione di questa vicenda?

Ruolo? Ma, veramente, ne so pochissimo. Quello che so è che Tindouf, dove sono stati rapiti i cooperanti, è un campo nell’estremo ovest dell’Algeria, proprio al confine con il Sahara spagnolo, dove ci sono i saharawi, indipendentisti la cui posizione è stata sposata dagli spagnoli in chiave anti-francese, il cui governo invece appoggia il Marocco con il quale il Fronte Polisario è in guerra da decenni. Due dei tre rapiti erano spagnoli, per cui tutto il lavoro l’ha svolto l’intelligence spagnola, grazie anche alla conoscenza perfetta dei luoghi, delle dinamiche e delle situazioni. Noi in quella regione siamo praticamente sconosciuti.

Pare che la chiave delle trattative sia passata per il Burkina Faso, con cui i nostri rapporti sono buoni…

Certo, ottimi, vi abbiamo svolto anche lavori con la cooperazione, ma anche lì altri sono gli interlocutori, era l’Alto Volta, è tutta roba dei francesi, come il Sahara spagnolo degli spagnoli. Noi non abbiamo neanche l’ambasciata lì…

Non c’è l’ambasciata?

No, e non c’è neanche in Niger, in Ciad, in Mali, in Mauritania, e neanche nella Repubblica Centrafricana. Si occupa di tutto l’ambasciata di Dakar. Di quanto avviene in quella regione africana sappiamo ben poco e ci dobbiamo affidare a chi ne sa più di noi. Mi spiace dirlo, ma non è un trionfo italiano, ci è andata bene, meglio così.

A proposito di trionfi italiani, c’è ora la vicenda del marò. Che dobbiamo fare?

Lì il nostro governo ha fatto il peggio che poteva fare, nel senso che non abbiamo capito l’India, per niente. Il sistema di amministrare la giustizia è terrificante, con questi rinvii continui, questi conflitti di competenza, questo sistema farraginoso con traduzioni che non possono fare e che se si fanno necessitano del loro tempo… è la tecnica indiana. Noi eravamo convinti di avere a che fare con un’ex colonia britannica e invece ci siamo trovati davanti una superpotenza nucleare con interessi geopolitici e strategici enormi.

Ma questi pescatori, poi, erano pescatori?

Ma sì, non ci sono dubbi. Quello che però molti non sanno è che – e la vicenda dei giorni scorsi della nave americana che ha avuto un incidente analogo lo conferma – spesso i pescatori indiani in quei mari vanno sotto le grandi navi per farsi rompere le reti, reti che magari saranno state riparate innumerevoli volte, e poi farsele ripagare dagli armatori. E lì son botte da cinquemila dollari, che in un Paese come l’India rappresenta pur sempre una piccola fortuna.

I nostri fucilieri di Marina si sono comportati secondo le regole?

Assolutamente sì. Ci sono dei protocolli da rispettare, c’è tutta una procedura anti-pirateria, ma non solo anti-pirateria. Se una imbarcazione sconosciuta si avvicina senza segnalare il motivo, prima si suona con le sirene, poi si fanno segnali luminosi, poi si spara in aria… beh, se nonostante tutto questo l’imbarcazione continua ad avvicinarsi, ignorando le comunicazioni, gli avvertimenti e se non fa capire le proprie intenzioni, si può legittimamente presumere che si tratti di pirati.

E ora come si deve agire?

Intanto prevedo tempi lunghi, lunghissimi. L’unica cosa da fare è premere sul governo federale indiano, quello di New Delhi, affinché sia riconosciuto che non è l’India che deve giudicare militari italiani in servizio anti-pirateria. Ma il mio timore è che, quando li libereranno, qui in Italia li metteremo a Gaeta invece che nei loro reparti…

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