Thyssen, le scuse non salvano la faccia a Emma
Un giorno, due giorni, tre giorni, quattro… Se ne sono accorti, meglio tardi che mai. Quell’applauso all’amministratore delegato della ThyssenKrupp, Harald Espenhahn, durante l’assemblea di Confindustria a Bergamo, il 7 maggio, è stato uno schiaffo in pieno viso. Un eccesso, la prova di un egoismo di categoria che oltrepassa persino il confine della tragedia. Le scuse di Viale dell’Astronomia sono arrivate solo ieri. E a chiederle, per conto dell’associazione degli industriali, non è stata la Marcegaglia ma il direttore generale Giampaolo Galli, che ha definito quell’applauso «sbagliato e inopportuno», sia nei confronti dei familiari dei sette lavoratori morti nel rogo della sede torinese dell’azienda, che dell’opinione pubblica.Tutto chiarito? Per niente. Anche perché l’applauso era scattato quando proprio Emma Marcegaglia – ricordando la condanna a 16 anni e mezzo per omicidio volontario all’amministratore delegato della Thyssen – aveva sostenuto che era troppo alta, per motivi “industriali”: «Se dovesse prevalere questa linea, si allontanerebbero investimenti esteri mettendo a repentaglio la sopravvivenza del sistema produttivo». Vero? Falso? In questa occasione un dibattito del genere è irricevibile. Quando è in gioco la vita delle persone le argomentazioni di carattere economico non contano. E se le ha fatte la Marcegaglia sarebbe stato opportuno che fosse stata la stessa Marcegaglia a passare sotto le forche caudine delle scuse ufficiali. Tanto più che la presidente degli industriali non è certo una che le cose le manda a dire: ama parlare e anche in maniera esplicita e diretta. Ne fa fede l’uscita contro l’insufficienza della politica economica del governo che ha suscitato più di qualche perplessità, nelle file della maggioranza, ma anche in settori di minoranza all’interno dell’associazione degli imprenditori.
E allora, in questa occasione, perché la presidente ha preferito tenere un profilo defilato? Perché evidentemente non ha ritenuto di impegnarsi in prima persona. Le scuse ci sono, ma sono asettiche. Se intendevano sgombrare il campo dalle incomprensioni di sabato, si può dire che non ci sono riuscite. Anche perché, in quella occasione, era stata manifestata la volontà di incontrare i familiari delle vittime e alle parole non sono seguiti i fatti. Non a caso la signora Graziella Rodinò, mamma di Rosario, uno dei lavoratori morti, è tornata ieri sull’argomento. «Se la Marcegaglia desidera incontrarci – ha detto – va bene. Vogliamo che ci ripeta in faccia che le condanne sono troppo alte». La Rodinò, dunque, di solidarietà al vertice Thyssen non vuole neppure sentire parlare. E i 16 anni e mezzo di carcere che si è beccato Harald Espenhahn? «Gli imputati – sottolinea – ne meritavano anche di più».
Poche parole che sono sufficienti a spiegare i come e i perché dell’evoluzione della vicenda. Una cosa è il cattivo gusto dell’applauso, un’altra la preoccupazione reale degli industriali, che spinge Giampalo Galli a parlare di comportamento spontaneo «in una platea di imprenditori, perché le imprese sono preoccupate per l’estrema incertezza del diritto in Italia». A sentire Viale dell’Astronomia, perciò, il problema non è quello dei sette lavoratori morti o il fatto che i giudici abbiano accertato l’inesistenza sul luogo di lavoro degli strumenti necessari per tutelare la vita dei lavoratori, ma che le norme attuali abbiano consentito la condanna del vertice aziendale. Ci scusi Confindustria, ma, se lo stato delle cose dovesse essere realmente questo, sarebbe difficile per l’opinione pubblica sentire come proprie le argomentazioni degli industriali e sostenere una tesi che, francamente, come minimo lascia perplessi. Non è quello di cui la Marcegaglia ha bisogno. E non ne sente l’esigenza neanche il Paese.