Biloslavo: «Un errore sottovalutare Gheddafi»

27 Apr 2011 19:26 - di

Quando a marzo ha intervistato Muhammar Gheddafi nella sua tenda ricorda perfettamente come «per lui era più lo stupore per l’amico italiano che lo aveva tradito che la rabbia per il nemico che lo stava colpendo». Per cui davanti alla decisione del governo Berlusconi di attaccare il Raìs la reazione del regime libico oggi sarà «choc, delusione». Fausto Biloslavo, inviato di guerra del Giornale, conosce bene che cosa sta avvenendo in quella regione. Per questo motivo annuncia che – raid o no – «ci siamo cacciati in bel guazzabuglio».

I ribelli però hanno esultato alla notizia di un nuovo intervento…

I ribelli applaudono sempre quando c’è un passo in più verso la fine del regime. In realtà abbiamo già fatto 180 missioni attaccando le postazioni di Gheddafi: quello che accadrà adesso è un allargamento dei bersagli attraverso l’attacco aereo. C’è da dire però che ai ribelli nemmeno questo basterà. Loro pretenderebbero un intervento pesantissimo in modo tale da liberare non solo Misurata, ma di marciare infine anche sulle altre città.

L’umore delle truppe lealiste?

Dalla parte di Gheddafi, com’è evidente, non possono fare i salti di gioia. A maggior ragione con un ulteriore nostro coinvolgimento. Nonostante la nostra partecipazione all’intervento noi siamo stati visti come diversi da inglesi, francesi e soprattutto americani. Con l’Italia sentono di avere un rapporto diverso.

È una “svolta” o un “adeguamento” quello italiano in Libia?

Una svolta proprio no. È un adeguamento alla situazione di totale stallo, da guerra di posizione per intenderci, che si era venuta a creare. L’intenzione adesso è cercare di cambiare qualcosa sul “terreno” da utilizzare come arma di pressione per poi arrivare a un sorta di accordo tra le parti. Tutto questo dovrà avvenire tramite una forza di interposizione modello ex Jugoslavia di cui noi faremo parte e che cercherà di salvare il salvabile. Di mezzo a tutto questo c’è “solo” Gheddafi, per cui la vedo un po’ dura…

Non si corre il rischio di diventare una forza occupante?

Certo che si corre. La mia personale idea è che noi non dovevamo entrarci proprio in questo conflitto. A causa del nostro passato, quello “vicino” a maggior ragione che ha visto un rapporto più che stretto tra noi e il Raìs. Dovevamo fare come la Germania: vedere l’evolversi dei fatti e poi decidere. O magari volare subito a Tripoli e cercare una soluzione. Adesso però, dato che ci siamo infilati in questo ginepraio, dobbiamo compiere la nostra parte. Certo, se entro l’anno ci sarà questo piano di sbarcare in Libia il rischio si corre: da una parte sarebbe un bene perché, comunque, i libici hanno ancora una buona opinione di noi italiani. Dall’altra, però, l’azzardo c’è.

Pensa che si corra il rischio di un nuovo Iraq?

Qualsiasi intervento terrestre comunque comporterebbe un rischio Iraq. Questo è il punto: per ciò nessuno lo farà se non con un accordo preventivo con le parti che stabilisca le tappe verso una normalizzazione. Il problema, l’ennesimo, è che i ribelli non vogliono più sentire parlare di Gheddafi. Il discorso insomma è che siamo in Libia, un territorio diverso dall’ex Jugoslavia: per cui il rischio è una guerra di logoramento. Ci siamo infilati in un bel vespaio.

Che cosa accadrà nelle prossime ore?

Il nodo è Misurata, che è la terza città del paese e che si è trasformata in un Beirut stile guerra civile. Lì ci sono molti civili, con tanti immigrati che stazionano vicino al porto. Misurata è una bomba umanitaria a tal punto che questo potrebbe essere il pretesto per una missione umanitaria europea. Quello è il vero punto, perché la città si trova in Tripolitania nella parte ovest che di fatto è sotto controllo del Colonello.

C’è stato un errore di valutazione sulla resistenza di Gheddafi?

C’è stato un madornale errore, dettato anche dalla disinformazione di media come Al Jazeera. E, assieme a questo, anche una sottovalutazione delle forze di Gheddafi. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

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