Lo sterminio dei contadini voluto da Stalin: un libro racconta il genocidio

19 Nov 2015 17:29 - di Vincenzo Fratta

Nella parte alta della città di Kiev, nel parco a poche centinaia di metri dal più importante complesso monastico ortodosso dell’Ucraina, il Pecherska Lavra, si trova il monumento commemorativo dell’Holodomor, la morte per fame inflitta ai contadini ucraini da Stalin nel tragico biennio 1932-33.

Inaugurato nel 2008 è costituito da una cappella in cemento a forma di candela, alta dieci metri, all’interno della quale sono racconti gli oggetti di uso quotidiano delle popolazioni contadine e una raccolta di foto che ritrae loro la vita quotidiana prima della carestia indotta dalla politica collettivizzatrice del regime bolscevico.

All’esterno, dopo un semplice portale costituito due di angeli in marmo, si trova la statua di una bambina che rappresenta con grande efficacia la tragedia del suo popolo. Nei suoi occhi si legge l’orrore che sta vivendo e la spiga di grano che stringe tra le mani simboleggia bene il tragico destino della morte per fame nella terra conosciuta come il ‘granaio d’Europa’.

La collettivizzazione forzata delle campagne fu iniziata da Stalin nel 1928 in Russia e in tutti i territori conquistati dai bolscevichi nelle guerre seguite alla Rivoluzione dell’Ottobre 1918.

La statua di una bambina con la spiga che introduce al monumento dell'Holodomor

La statua di una bambina con la spiga che introduce al monumento dell’Holodomor

I contadini dovevano rinunciare alle loro fattorie che sarebbero state trasformate in ‘colcos’, aziende collettive debitrici verso lo Stato di una percentuale consistente della loro produzione. Un obiettivo da raggiungere a tutti i costi con la violenza, le confische, le esecuzioni e le deportazioni di intere comunità verso la Siberia e le regioni dell’Asia centrale.

Formalmente la politica di repressione avrebbe dovuto essere rivolta unicamente contro i contadini più ricchi denominati ‘kulaki’, ma in sostanza si trattava della cancellazione dell’iniziativa economica privata e del ripristino dell’asservimento servile delle popolazioni.

 

 

Olocausto dimenticato

Nel 1931 la resistenza dei contadini alla collettivizzazione forzata non era stata ancora domata nonostante l’adozione dei più crudi strumenti repressivi e, come conseguenza, si era determinata un forte diminuzione della produzione agricola e la quasi totale perdita del patrimonio zootecnico del Paese. Il regime comunista decise quindi di adottare, dall’autunno 1932 alla primavera dell’anno successivo, una misura estrema: lo sterminio per fame di una parte della popolazione rurale, attraverso la requisizione di tutti i prodotti della terra.

Secondo le stime più prudenti e oramai universalmente accettate, la grande carestia scatenata dai bolscevichi causò la morte di non meno di sei milioni di persone di cui quattro milioni soltanto in Ucraina. Qui, dove alla resistenza alla collettivizzazione si aggiungeva la non sopita aspirazione degli ucraini all’indipendenza da Mosca, gli ordini di Stalin furono applicati nella maniera più inflessibile e prolungata. Insieme ai contadini fu decimata l’intera intellighenzia nel tentativo di cancellare ogni memoria storica della nazione.

Di questo genocidio perpetrato nel cuore dell’Europa si sa molto poco in Italia e nel mondo. Decidere di ‘sopprimere’ in tutte le regioni dell’immensa Unione Sovietica, un intero ceto sociale – i contadini in quanto tali – nel suo orrore non ci sembra dissimile dalla volontà di ‘sopprimere’ una razza in quanto tale come avvenne con gli ebrei perseguitati dai nazionalsocialisti. In Ucraina il genocidio si completò con il tentativo di cancellare ogni specificità nazionale, aggiungendo alla soppressione della popolazione rurale, l’uccisione della classe colta, la pulizia etnica e il trasferimento coatto di minoranze da altre regioni.

Un primo contributo a colmare il deficit di conoscenza italiano sullo sterminio per fame voluto da Stalin ci viene ora dal libro di Ettore Cinnella Ucraina. Il genocidio dimenticato 1932-1933 pubblicato da Della Porta Editori (Pisa-Cagliari 2015, pp.302, €18). Grazie al lavoro effettuato direttamente sugli archivi sovietici, l’autore ripercorre tutte le tappe della collettivizzazione delle popolazioni rurali dell’Unione Sovietica che precedettero gli anni dello sterminio per fame. Non mancano le citazioni tratte dai carteggi tra le autorità locali e il centro del potere bolscevico, come questo rapporto sulle deportazioni inviato da un gruppo di operai della regione di Vologda: ‘Sono stati spediti verso terribili geli bambini ancora poppanti e donne incinte, che hanno viaggiato in vagoni bestiame ammucchiati l’uno sull’altro: è qui che le donne hanno partorito (non è questo un oltraggio?). Poi sono stati fatti scendere dai vagoni, come cani, e sistemati in chiese e in magazzini sporchi e freddi, dove non avevano neanche modo di muoversi. Li tengono semi affamati, nella sporcizia, tra pidocchi, al freddo e alla fame; qui si trovano migliaia di bambini, gettati all’arbitrio della sorte come cani, ai quali nessuno intende rivolger l’attenzione. Non c’è da stupirsi che ogni giorno ne muoiano 50 e più (solo nella città di Vologda); presto il numero di questi bimbi innocenti spaventerà la gente, ché già adesso è superiore a tremila’.

In precedenza in Italia sull’Holodomor era apparsa unicamente la traduzione del libro di Robert Conquest Raccolto di dolore. Collettivizzazione sovietica e carestia terroristica (Liberal edizioni, Roma 2004), un lavoro realizzato prima dell’apertura degli archivi dell’Ex Urss, che era passato completamente sotto silenzio.

 

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