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Atreju, lode alla cultura nazionalpopolare e critica al politicamente corretto: la lezione di Venier, Greggio, Liorni e Conti

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Atreju, lode alla cultura nazionalpopolare e critica al politicamente corretto: la lezione di Venier, Greggio, Liorni e Conti

Spettacoli - di Gabriele Caramelli - 10 Dicembre 2025 alle 19:28

Cultura televisiva nazionalpopolare e critica del politicamente corretto. Questi i temi affrontati da Mara Venier, Carlo Conti, Marco Liorni sul palco della festa di Atreju a Roma, conEzio Greggio in collegamento da Milano, nel  panel intitolato “La televisione e la cultura nazionalpopolare in Italia”. Gli storici conduttori di Rai e Mediaset hanno parlato dei vecchi tempi, quelli in cui, in televisione, al cinema e nelle canzoni, si poteva dire e fare tutto mentre ora, per dirla con il direttore artistico di Sanremo, “manca la leggerezza, ci prendiamo troppo sul serio, non si può scherzare su nulla”. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, si trovava in prima fila insieme ad Arianna Meloni, al responsabile organizzazione di Fdi, Giovanni Donzelli, al capogruppo alla Camera, Galeazzo Bignami, al sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro.

Elogio della Tv nazionalpopolare e critica al politicamente corretto: Liorni, Greggio Venier e Conti

A dare il via al dibattito è la giovane moderatrice, Francesca Geraci, militante gioventù nazionale: “In un’epoca in cui il linguaggio e le forme di comunicazione sono condizionate dal politicamente corretto, c’è ancora spazio per la satira?”. Greggio, da anni al timone di Striscia la Notizia su Canale5, non ha dubbi: “Il mio spettacolo teatrale è scorretto, parlo male di tutti, credo che la satira non possa essere imbavagliata, c’è diritto di satira”.

È stato poi Conti a parlare del fatto che “nella vita di tutti i giorni abbiamo perso un po’ tutti la leggerezza, ci prendiamo un pochino troppo tutti sul serio, non si può più scherzare su niente”. Ad esempio “il mio film cult ‘Amici miei’ oggi durerebbe dieci minuti”. Peraltro, ad oggi “si sta soltanto criticare, mai apprezzare ciò che dice l’altro, è un tutti contro tutti”. Secondo lui “è una deriva che dura da tanto. Abbiamo cominciato a dire che non si può più parlare di quello e di questo ma se tu guardi certi vaerietà degli anni ’60 ci sono delle scene, dei balletti e delle battute che oggi non si potrebbero neanche più dire e fare”.

La musica e il bavaglio del perbenismo

Liorni aggiunge: “Ma perché le canzoni?”. E zia Mara rispolvera un programma di Raidue di oltre 40 anni fa: “Il Cappello sulle 23”: “Ve lo ricordate? Era un progranma di seconda serata molto erotico, ora non se po’ fa’ niente”. “Non si può più fare”, annuisce Conti che porta la sua esperienza personale da conduttore di Tale e Quale, il programma di imitazioni: “Non è solo l’osé. Io a Tale e quale, per stare dietro a delle direttive mondiali, non posso più fare interpretare i cantanti di colore perché altrimenti si va a offendere”. Interviene Greggio: “La blackface, una follia”.

Il conduttore di Sanremo ha spiegato che si tratta di “un problema gravissimo negli Usa ma da noi non c’è quella malizia nel dover imitare un cantante di colore. Allora io ogni volta mi diverto quando posso negli ultimi anni a chiamare tra i protagonisti di Tale e quale un cantante forte di colore per fare l’imitazione”. E poi “un bel giorno in una puntata gli farò fare un cantante bianco con la speranza che nessuno si offenda… the white face, lo dico io che sono di colore”, ha detto scherzando sul suo viso sempre abbronzato. Insomma, con il politicamente corretto “si perde un po’ la leggerezza, il senso vero delle cose”.

La televisione è più forte dei social: la potenza della cultura nazionalpopolare

Nonostante tutto, nessuno dei presenti crede che la televisione possa essere infastidita dai social o dalle piattaforme. “Parlano gli ascolti”, ha spiegato la conduttrice di domenica In, contenta di avere quest’anno al suo fianco il neo direttore del Giornale Tommaso Cerno nel programma. “Io sono orgogliosa di rappresentare il nazional popolare. Io sono Mara Venier di Domenica in nazional popolare”, ha rivendicato, ricordando che una volta la cultura nazionalpopolare era vista con sospetto. Anche da uno dei giganti della televisione italiana ad esempio: Pippo Baudo.

“Il presidente Manca – racconta Venier – aveva classificato i programmi di Baudo come nazional popolari. Baudo lo prese come un’offesa. Andò via dalla Rai, ci furono polemiche”. “Essere nazional popolari – ha rammentato Greggio – significa essere nel cuore della gente e far trascorrere in periodi bui e complicati come questo qualche momento di serenità e ne abbiamo assolutamente bisogno”. Per Liorni, infine, “l’intrattenimento deve respirare quello che c’è fuori” e pazienza se, come osserva Conti, non si piace a tutti: “Fin quando il pubblico vorrà ci sarò con la consapevolezza che non si può piacere a tutti, è impossibile. Ma se stai simpatico a 50+1 è già molto”.

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di Gabriele Caramelli - 10 Dicembre 2025