
Da lasciare sugli scaffali
L’operazione “Nero indelebile”? Roba da pistaroli. Quella di Meloni & co è tutta un’altra storia
La ricostruzione delle radici di FdI da parte di Mirella Serri è un compendio pieno di approssimazione, confusione e propaganda.
Ci sono sempre stati, da un lato, gli studiosi della storia della destra e, dall’altro, i pistaroli, i propagandisti della diffamazione, gli autori di pamphlet superficiali e strumentali. Di fronte a questo quadro e all’affermazione in Italia nel 2022 del governo di una leader e di una forza politica conservatrice a vocazione maggioritaria, stupisce la recente produzione di tanto materiale librario ascrivibile al secondo elenco, in cui anche accademici e politologi pur dotati di categorie ermeneutiche adeguate e di strumenti di ricerca all’altezza mettono da parte la loro formazione professionale per produrre solo saggi di propaganda. L’esempio più eclatante è quello di Mirella Serri, autrice in passato di studi importanti e documentati come I redenti, che da poco ha invece mandato in libreria un pamphlet non scientifico, privo di note bibliografiche e di evidente natura polemico-propagandistica: Nero indelebile. Le radici oscure della nuova destra italiana (Longanesi), la cui tesi in soldoni è quella di delineare i contorni di una presunta “ideologia meloniana”, riconducibile tout court … all’estremismo delle destre radicali.
Sterile propaganda
“Questo governo – sentenzia la Serri – è il prodotto di una destra radicale che, lontana anni luce dai grandi partiti della democrazia liberale, non è mai stata interamente raccontata nelle sue radici”. Cosa c’entrino il riferimento a Priebke, i saluti gladiatori, le croci celtiche, i “boia-chi-molla”, i simboli runici, le liturgie nostalgiche dell’introduzione con l’immaginario e la pratica di un partito che si aggira attorno al 30 per cento degli italiani non lo si riesce proprio a capire. Affermazioni e riferimenti che risentono, intanto, di una bibliografia non adeguata e non aggiornata. Scorrendo infatti quella pubblicata in appendice dall’autrice non si si ritrovano alcuni testi essenziali, tra i quali andavano almeno considerati i lavori analitici di Giovanni Tassani, quelli di Pasquale Serra, così come i libri di Alessandro Campi e di Giuseppe Parlato, la trilogia di Nicola Rao, saggi come Planando sopra boschi di braccia tese e L’altro Msi di Annalisa Terranova, per non dire di Fascisti immaginari di Luciano Lanna e Filippo Rossi: tutti studi che potevano spiegare in profondità i percorsi evolutivi e il vero immaginario della destra italiana tra gli anni Settanta e gli anni Novanta, senza la cui conoscenza si incappa conseguentemente negli errori di prospettiva e di interpretazione della Serri.
Dove sono le fonti?
Come si fa, d’altronde, a porre come epigrafe del libro una frase di Pino Rauti con lo scopo, oltretutto dichiarato, di suggerire che l’ordinovismo degli anni Cinquanta sarebbe il brodo di coltura dell’immaginario meloniano? E come si fa a sostenere che la giovane leader di Fratelli d’Italia si sarebbe mossa con l’obiettivo di “far dimenticare di aver ceduto alla più prosaica svolta di Fiuggi del 1995, l’operazione con cui Fini allentava i legami di Alleanza nazionale con il passato”? O, ancora, che l’apprendistato politica di Giorgia Meloni si sarebbe svolto in una presunta biblioteca di Colle Oppio dove i giovani militanti si formavano, stando alla Serri – ma lo dice senza basarsi su fonti – solo sulla Storia del fascismo di Rauti e Sermonti? Per arrivare a parlare dello stesso Pino Rauti come di un “burattinaio del pensiero della destra più radicale”. Quei militanti di Colle Oppio, si legge ancora, “erano i più radicali e i più ostili al sistema dei partiti, alla Costituzione e all’antifascismo”. Da dove ricaverebbe queste osservazioni la Serri non lo dice, confondendo maldestramente i ricordi degli anni Cinquanta di Giulio Salierno – l’autore di Autobiografia di un picchiatore fascista – con il quadro della Colle Oppio degli anni Novanta, quando la quindicenne Giorgia aderisce al Fronte della Gioventù.
Leggende su Colle Oppio
Si tratta peraltro di un errore gravissimo, lo stesso in cui incorre anche un giornalista accorto e attrezzato come Antonio Padellaro, quando nel suo Antifascisti immaginari annota: “Immaginiamo una giovanissima missina fan di Giorgio Almirante che ha trascorso i suoi primi anni ruggenti immersi nella vita di sezione. Che poi è una specie di catacomba ricavata in uno sgarrupato manufatto di Colle Oppio. ‘Contro il sistema la gioventù si scaglia / boia chi molla è il grido di battaglia’: chissà quante volte la focosa militante di nome Giorgia avrà scandito il famigerato slogan della destra più o meno estrema…”. Per aggiungere: “È la cultura dell’aut aut basata sulle contrapposizioni forti e inderogabili. O con noi o contro di noi. Contro è schierato quasi tutto il resto del mondo, a eccezione del neofascismo catacombale”. Per dirla tutta, la citazione tratta da un romanzo di Edoardo Nesi e ripresa, fotografava il clima drammatico e databile esclusivamente ai primi anni Settanta, quelli della strategia della tensione, dell’uccidere un fascista non è reato, del tentativo di demonizzare e mettere fuori gioco il Msi. Che con gli anni del primo impegno dell’attuale leader di FdI non hanno proprio nulla a che vedere.
La scintilla? La lotta anti-mafia
Va infatti opportunamente ricordato che Giorgia Meloni, nata nel 1977, era poco più di una bimba e aveva solo 11 anni solo quando moriva Almirante. La sua stessa adesione al Msi sarà del 1992 sull’onda emotiva dell’inchiesta Mani Pulite e dell’uccisione di Paolo Borsellino. A seguire da questi fatti, per niente ideologici ma segnati da un’ondata di emozione che coinvolse tutto il paese, ci sarà il suo ingresso nella Colle Oppio, allora guidata da Fabio Rampelli, il quale comunque, sin dal 1980, aveva rotto col neofascismo e i suoi slogan e i suo rituali e aveva adottato quella che chiamavano la “logica del superamento”: fuoriuscita dalla logica del ghetto, dialogo con gli altri, anche con esponenti di sinistra (ai Raduni di Colle Oppio vennero ospitati anche Emilio Vesce e don Luigi Di Liegro), metodo dell’et et, superamento e archiviazione del fascismo, adozione di nuove simbologie, il Gabbiano Jonathan Livingston al posto delle croci celtiche, da cui il nome di Gabbiani per i ragazzi che frequentavano quella sede. È da poco uscito un altro libro, La chiamavano Nuova destra di Giovanni Tarantino (edizioni Il Palindromo) che può semmai raccontare e spiegare anche quella fase di rinnovamento a destra, con i nuovi paradigmi le nuove suggestioni culturali, a cominciare dall’invito a “uscire dal tunnel del fascismo” già avanzato nel 1981.
Un percorso tutto politico e democratico
Nella Colle Oppio in cui approda la Meloni ci si occupa infatti di battaglie ecologiche, si leggono gli Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini, si ripensa il Sessantotto, si organizzano liste studentesche che saranno vincenti nei licei e nelle università, spesso sperimentando alleanze con cattolici, ambientalisti e studenti di altre aree. Altro che estremisti, picchiatori e razzisti… Tanto che Giorgia Meloni aderirà a An, condividendone convinta la svolta di Fiuggi; nel 1996 sarà a capo di Azione studentesca, gli studenti delle scuole superiori di An; nel 1998 viene eletta consigliere provinciale a Roma; nel 2004 diventa presidente nazionale di Azione Giovane, movimento giovanile di An; nel 2006, a soli 29 anni viene eletta alla Camera, poi nel 2008 ministro della Gioventù… Un percorso tutto politico, elettivo, democratico…La Serri di tutto questo non tiene alcun conto. Anzi, scrive che “Meloni coltiva la sua passione per la politica nell’ambito di Ordine Nuovo con tutto il gruppo dei Gabbiani”! Descrive, insomma, l’ambiente frequentato dalla giovane Giorgia confondendolo con la Colle Oppio dei Figli del Sole, risalente agli anni Quaranta e Cinquanta, fermandosi alla descrizione del libro di Salierno come se quarant’anni di storia fossero passati invano.
Mistificazione di una storia
Siamo davanti alla mistificazione storica e al tentativo di buttarla in caciara con lo scopo di demonizzare tutta una storia politica. Condendo il tutto di imprecisioni e errori. Tanto per dire: lo slogan “non rinnegare, non restaurare” va legittimamente attribuito a Augusto De Marsanich e non a Giorgio Almirante come fa lei. Non si può poi non distinguere il Rauti della seconda metà dei Settanta, protagonista di una strategia di approfondimento e di una azione evolutiva di modernizzazione postfascista destinata a influenzare positivamente buona parte della gioventù missina, dal dirigente tradizionalista di Ordine Nuovo degli anni Cinquanta. Ancora: il pensatore francese Alain de Benoist, citato in abbondanza dalla Serri, non è affatto un teorico della destra radicale e, soprattutto, non è mai stato animato da alcun sentimento xenofobo o razzista, temi semmai sui quali ha sempre polemizzato con il Front national. Eppure la Serri scrive: “De Benoist e l’intellighenzia francese hanno sostenuto con grande convinzione il radicalismo neonazista e neofascista della estrema destra italiana e la sua esternazione con saluti romani, formazioni militaresche, ammirazione per le SS”… Chiunque abbia letto anche un solo libro dello scrittore francese non può che allibire!
Povero Ezra…
Non è poi affatto vero che uno dei testi cult tra i giovani missini e poi aennini sia mai stato Sparta e i sudisti di Maurice Bardeche. Non parliamo del presentare Ezra Pound, considerato unanimemente insieme a Eliot come il padre della poesia del Novecento, quale una sorta di propagandista nazi… Oppure di inquadrare un gigante come Ernst Jünger, lo scrittore che partecipò alla congiura per uccidere Hitler e che si caratterizzò nel secondo dopoguerra come un autore chiaramente antitotalitario, solo alla luce dei suoi scritti giovanili… Non è il caso di proseguire. L’impressione è che la nostra professoressa per documentarsi abbia lavorato più su qualche sito internet di estrema destra che su testi documentati e precisi. Tutto il testo è infatti infarcito di troppi nomi e riferimenti che non hanno nulla a che vedere con il percorso reale di Giorgia Meloni e della sua storia politica ma che vengono utilizzati per avvelenare il tutto con elementi sulfurei, forse utili all’autrice per insinuare il giudizio che le radici di FdI affonderebbero nella destra radicale più estrema…
Tutto troppo approssimativo
Come si fa, inoltre, a ricavare la linea politica di Fratelli d’Italia – accade purtroppo nelle pagine di Nero indelebile – da un semplice intervento occasionale di Giorgia Meloni, il 13 novembre 2011, al II Congresso de La Destra di Francesco Storace, dove interveniva per ritrovare una sintonia con gli esponenti di una delle formazioni che in quel momento caratterizzavano la diaspora della destra, all’epoca frammentata tra Pdl, La Destra e Futuro e Libertà? D’altronde, è la stessa Serri a precisare che Fratelli d’Italia come soggetto politico autonomo sarebbe stato costituito solo il 28 dicembre 2012, oltre un anno dopo. E politologicamente è da lì in avanti che invece una studiosa seria dovrebbe individuare la linea politica, le intuizioni, le evoluzioni e le sintesi politico-culturali che hanno condotto alla costruzione di un soggetto politico nuovo che nel 2022 arriva a diventare la prima forza politica italiana. Che, superata anche la fase della prima espansione, arriva a definirsi come un partito modernamente conservatore e riformista, distinguendosi consapevolmente e nettamente dalla semplice rappresentanza di pulsioni sovraniste e populiste e puntando semmai a una destra a vocazione maggioritaria, radicata interclassisticamente e ampiamente nella popolazione italiana, e in grado di far proprie quelle istanze nazionali e popolari rappresentate anche da figure come Enrico Mattei e Adriano Olivetti. Ma tutto questo Mirella (Serri) non lo sa…