Il corsivo. Ultima risposta a Montanari: “retore” sfrenato dei novelli rivoluzionari (della pastasciutta)

5 Mag 2024 15:30 - di Spartaco Pupo

Il violento attacco di Tomaso Montanari con il suo rozzo frasario che ci riporta all’infausta stagione dell’eversione rossa non meriterebbe repliche ulteriori dopo quelle puntualissime del direttore del Secolo d’Italia. Le sue sparate sui social e negli accomodanti salotti televisivi, più che da rettore (con due “t”), sono da retore (con una sola “t), peraltro “sfrenato”, come Platone qualificava chi nel linguaggio pubblico cedeva all’imitazione delle situazioni più spregevoli per ridurle a meri “suoni”. «Tornate nelle fogne» è la riduzione della parola ai suoni di un coro violento e, ai suoi tempi, anticipatore di morte, come lo è il ringhio animale. Platone ci vedeva addirittura la mimesis del subumano, e parlava perciò di retorica “folle”.

Scrivo a beneficio soprattutto dei più giovani che, assuefatti all’idioma sfrenato di questi retori, rischiano di cadere nelle loro trappole ideologiche. Se da storico e politologo offro la mia collaborazione al Secolo d’Italia è perché questa gloriosa testata da sempre svolge un’azione culturale, essendo la cultura, nell’interpretazione kantiana, nient’altro che ricerca cosciente e libera scelta del pensiero e della condotta. Da 72 anni, questo giornale ricerca e sceglie senza inseguire l’omogeneità culturale. Il suo anticonformismo è di per se stesso cultura.

I vari Montanari questo non lo comprendono perché sono stati indottrinati a una visione della lotta politica quotidiana che assorbe l’interesse per la cultura. Chi non si accorge di guidare un’istituzione culturale come l’università, che ha già nel nome (universitas) la sua missione, e ne utilizza il nome e l’immagine a fini di lotta di fazione, le rende un pessimo servigio. Così le istituzioni vengono assoggettate alla dimensione precaria del contingente, che oggi si chiama lotta al governo Meloni, ieri guerra al berlusconismo, ieri l’altro a qualche altra cosa. Ma la cultura è di tutti, e va resa fruibile prescindendo dallo spirito di fazione e dalle tentazioni egemoniche, peraltro fuorimoda. L’egemonia culturale della sinistra, infatti, sconta il peccato di superbia perpetrato a lungo con la presunzione di dettare leggi universali sulla scorta del contingente.

La cultura chiede oggi di essere liberata dalla filosofia del sistema in cui l’hanno ingabbiata i cattivi maestri di Montanari e degli altri novelli rivoluzionari della pastasciutta. La gente si rende conto che giganti del pensiero come Dante, Shakespeare, Manzoni, Gentile, Tolkien sono eterni perché hanno rappresentato le vicende dell’uomo non secondo l’abito del proprio tempo ma in relazione all’essenza perpetua della vita. Se, per fare un esempio, gli studenti di Storia dell’arte sapessero che questa disciplina deve tutto all’iniziativa di un filosofo e politico fascista, sarebbero i primi a diffidare dell’approccio distorsivo di Montanari, che lo storico dell’arte lo fa peraltro di mestiere. Si deve infatti a Giovanni Gentile, il più grande filosofo italiano del ‘900 e ministro della Pubblica Istruzione del governo fascista, l’introduzione della Storia dell’arte come disciplina ufficiale e obbligatoria nel piano di studi del liceo classico (R.D. 6 maggio 1923, n. 1054), nell’ambito della riforma scolastica che porta il suo nome. Non solo, ma tutte le problematiche concernenti l’odierna disciplina, come il reclutamento e la formazione degli insegnanti, i piani di studio e la manualistica didattica non sono che la continuazione delle scelte seminali compiute nel periodo compreso tra i primi anni Venti e la seconda guerra mondiale. Siamo sicuri che se Gentile avesse utilizzato le istituzioni culturali al servizio del contingente, oggi esisterebbe la Storia dell’arte anche a livello universitario?

Ai nostri studenti, quindi, dovremmo insegnare a non odiare la storia per partito preso, ma a studiarla a fondo, nella sua complessità, aiutandoli a riscoprire il valore culturale di scelte che, ispirate ai valori eterni della vita umana, e non a meri slogan propagandistici, ancora riescono a sconvolgerci con il prodigio della loro attualità. È questa la missione di un professore: sollecitare i giovani a riscoprire il gusto della lettura e della riflessione critica, a ritrovare l’insegnamento dei padri, perché la vita è perenne creazione di novità, che a loro volta meritano di essere conservate nel flusso dei ricorsi storici. Una missione cui dovrebbero essere deputate tutte le istituzioni formative della nostra amata Nazione.

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