L’editoriale. Montanari attacca ancora il Secolo: un nostalgico non pentito dei peggiori anni ’70

4 Mag 2024 16:29 - di Antonio Rapisarda

Tomaso Montanari non si pente di aver inveito contro il Secolo d’Italia intimando ai suoi giornalisti e alle sue firme – fra cui il professor Spartaco Pupo – di «tornare nelle fogne». Il rettore dell’Università per Stranieri di Siena non si ravvede, insomma, per aver pronunciato le stesse parole che hanno ispirato le “gesta” dei mazzieri comunisti nei confronti di coloro i quali, negli anni ‘70 e ‘80, venivano indicati e schedati (anche dai cosiddetti maître à penser) come «fascisti». Per più di qualcuno, come lo studente liceale Sergio Ramelli o l’ecologista identitario Paolo Di Nella, ciò ha significato morire – da innocenti – sotto i colpi giustificati da espressioni del genere. Per Montanari trattasi, a quanto pare, di dettagli insignificanti: storielle su cui uno storico (dell’arte) può sorvolare.

Tutto ciò è successo venerdì a Otto e mezzo quando Lilli Gruber ha giustamente chiesto al professore se si fosse pentito del tweet d’odio vergato contro il Secolo d’Italia il 25 aprile scorso a commento di un nostro articolo – puntuale e corrosivo, ovviamente criticabile ma nel merito – sulla compagnia degli antifascisti “a gettone”: coloro che monetizzano fama e notorietà con questo neoantifascismo declamatorio ed esaltato in assenza conclamata di fascismo. Montanari, colpito nel nervo scoperto, non solo non si è pentito ma ha rilanciato indossando i panni della vittima: «Ci sono giornali che utilizzano (nei confronti suoi, di Scurati e Raimo, ndr) il manganello e l’olio di ricino, almeno metaforicamente…». E giù con la solita sbrodolata sui fantomatici «eredi del fascismo, fogna della storia»: tutti rigorosamente annidati al governo della Nazione e nelle redazioni di destra. Alta storiografia, rigoroso metodo scientifico e approccio “verista” alla realtà: non c’è che dire.

E non ci sarebbe in verità tanto da dire e da ribattere a farneticazioni del genere (riproponiamo nuovamente l’analisi del professor Pupo proprio per offrire ai lettori il termine di paragone) se non strizzassero l’occhio a quel pericoloso fanatismo che sta prendendo piede, nelle piazze, grazie anche ai fomentatori d’odio che impazzano nelle tribune nobili dei palinsesti. O fra i maggiori premi letterari. Alla base di tale predicazione c’è un approccio adolescenziale e sommario al dibattito politico unito alla rimozione chirurgica delle riflessioni che la sinistra politica e culturale più sensibile alla lezione della storia (da Luciano Violante a Walter Veltroni, da Gianni Oliva a Luca Telese) ha elaborato nei confronti dell’altro da sé.

Cosa resta dunque? Una cultura dell’odio, un linguaggio violento lanciati irresponsabilmente dal salottino di casa: amplificati a dismisura dal mezzo televisivo con l’obiettivo esclusivo di colpire il governo democraticamente eletto. E se qualcuno osa far presente ciò, stanandone il meccanismo di produzione (di fattura), arriva la minaccia del Montanari al Secolo: «Tacete».

E invece no, professore. Interveniamo su tutto. A maggior ragione su questo argomento rispetto al quale siamo molto sensibili. Sa perché? Anche il nostro giornale ha subito in prima persona questo clima maledetto. Forse Montanari non ne sarà a conoscenza ma questo quotidiano, nel 1980, è stato vittima di un terribile attentato dinamitardo (sei feriti in tipografia). E ha subito, poco dopo, un attacco ancora più diretto: quando Angelo Mancia, il fattorino del Secolo d’Italia, finì crivellato dai colpi della “Volante rossa”. Proprio così: un proletario missino ammazzato dall’antifascismo militante. Quella pratica che l’incauto Rettore ha richiamato come “manifesto” educativo della sua gestione a Siena.

E allora a questo punto ci chiediamo se sia normale tutto ciò. Ci piacerebbe sapere che cosa ne pensano la Conferenza dei rettori, la Federazione nazionale della Stampa, le forze politiche e sociali democratiche. È normale, lo chiediamo a voi, sentire invocare da un alto dirigente dello Stato gli slogan peggiori degli Anni di piombo e il bavaglio nei confronti di un giornale?

P.s. Un’ultima cosa a Montanari & co: proprio il presidente “partigiano” Sandro Pertini volle essere presente al capezzale di uno di quelli che, seguendo il suo ragionamento, dovevano «tornare nelle fogne». Qualcosa decisamente in più di un gesto di pietas. A rievocare l’episodio, un anno fa, è stato il capo dello Stato Sergio Mattarella: «Ricordo ancora, con commozione, il Presidente Sandro Pertini, che si recò al Policlinico, dove era ricoverato, in coma irreversibile, Paolo Di Nella, per portare la sua solidarietà e compiere un gesto di pacificazione, rivolto ai giovani di opposte fazioni che, nelle nostre città, erano rimasti irretiti nella rete nefasta della violenza e della vendetta». Caro professore, facciamo finta di non conoscere nemmeno questa? Disconosciamo pure il richiamo del Colle? O impariamo, una volta per tutte, la lezione?

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