Così Lucio Battisti volava intorno alla tradizione: una lettura “esoterica” dei testi di Mogol
Su Lucio Battisti e la sua musica la cosa migliore l’ha detta Renzo Arbore: “Battisti fece una vera e propria rivoluzione. Non si ispirò, come qualcuno pensa, alla musica americana e inglese dei suoi tempi, ma cambiò il modo di scrivere le canzoni in Italia, rivoluzionando anche diversi giri armonici, inventando altre combinazioni sonore e un altro modo di incasellare il tutto insieme a Mogol. E tutti noi abbiamo goduto di quella splendida generazione frettolosamente da me personalmente allora chiamata beat…”. Sta in questo passaggio la rivoluzione avviata da Battisti che in qualche modo è paragonabile solo al precedente di Domenico Modugno, il quale introdusse seriamente lo swing nella musica pop italiana.
Pezzali: Battisti ha cambiato la storia della musica
Battisti andò oltre, fece in Italia quello che avevano fatto i Beatles nel mondo anglosassone. “Un ricciolone timido e scontroso – ha scritto il suo collega più giovane Max Pezzali – ha cambiato per sempre la storia della canzone. L’ha fatto con un mix di soul, funk, rock e melodia per quanto riguarda la musica, e con l’immortalità delle liriche di Mogol per quanto concerne le parole. Fregandosene dell’opinione comune in quel periodo, secondo cui una canzone avrebbe dovuto necessariamente avere argomenti di protesta contro il potere costituito per poter assurgere a una dignità artistica”.
“Ma che impegnato, io sono disimpegnato…”
Lo attestano nel migliore dei modi le parole dello stesso Battisti. “Ma che impegnato! Io sono di-sim-pe-gnato, disi-tutto, tranquillo…”, affermava il cantautore nel 1970 nel corso proprio di una trasmissione televisiva di Renzo Arbore, Speciale per voi. In quella sede un ragazzo chiedeva infatti a Battisti con quale spirito si ponesse di fronte alla società e ai problemi del tempo. E il musicista, sorpreso dalla seriosità trombonesca del giovane, mostrava quasi di non capire, limitandosi a sorridere e a dichiarare la sua “tranquillità”. E in effetti le canzoni e le melodie di Battisti sono stati uno di quei fenomeni della storia del costume e dell’immaginario che nell’Italia del secondo dopoguerra hanno scavalcato divisioni e segmentazioni ideologiche e d’appartenenza sociologica riuscendo a incarnare il normale sentimento della maggioranza della società italiana.
Il libro di Marco Rossi con i contributi di Tricarico e Bortoluzzi
Ma Battisti può ispirare anche letture più “ardite”, a partire dai testi. E’ l’esegesi che fa lo studioso Marco Rossi affrontando le parole delle sue canzoni nelle collaborazioni con Mogol, Velezia e Panella. Arriva in proposito in libreria il suo Volando intorno alla tradizione. Lucio Battisti fra musica ed esoterismo (Cinabro Edizioni, pp. 118, euro 16,00, con contributi di Francesco Tricarico e Mario Bortoluzzi), in cui sviluppando studi precedenti, Rossi propone una lettura tradizionalmente e spiritualmente orientata della produzione musicale del cantautore di Poggio Bustone. “Tutti sanno – precisa l’autore – che Lucio Battisti ha sempre scritto la musica delle canzoni; da ciò qualcuno potrebbe conseguentemente concludere che le parole, cioè i testi, siano esclusiva responsabilità letteraria e ideologica di Mogol: ma questa prospettiva però non tiene conto di parecchi decisivi aspetti della questione…”.
Tra questi, va rilevato il fatto che Battisti non è stato certo un artista e una personalità che si poteva adattare a firmare, cantare e incidere cose che non condividesse pienamente. Inoltre, la collaborazione di Mogol e Battisti, che si è protratta per più di quindici anni, era il frutto anche di un autentico rapporto di amicizia e condivisione ideale, di una profonda sintonia culturale e spirituale. “La verità – conclude Rossi – è semplice e chiara per chi non sia avvelenato da pregiudizi: Battisti e Mogol espressero, in modo magistrale, i medesimi contenuti, l’uno attraverso testi poetici, l’altro attraverso la prodigiosa vena creativa musicale”.
La produzione che va dal 1970 al 1975
Il libro si sofferma, in particolare, sulla produzione che va dal 1970 al 1975, quella in cui sarebbero più espliciti i messaggi di carattere spirituale e sapienziale, come il riferimento a “Volando intorno alla tradizione”… Si comincia da Emozioni e, attraverso L’aquila e Il mio canto libero, si arriva all’apoteosi con Il nostro caro angelo: canzoni i cui testi evocano, più o meno esplicitamente, pagine di autori cone Platone, Steiner, Gurdjieff, Guénon, Evola… Interessante, rispetto a qualche anno dopo, anche l’esegesi di Una giornata uggiosa, del 1980, una canzone alla ricerca di una vera libertà: “L’omologazione contemporanea vanifica e sacrifica – sottolinea Rossi cogliendo il nucleo del brano – l’unica libertà possibile per costruire la parvenza di una falsa libertà, che è in realtà la dittatura del grande fratello, che attraverso ‘ideologie alla moda’ e ‘facili entusiasmi’, sapientemente propagandati dall’imponente apparato dei mass media, letteralmente ‘preda’ (la canzone dice ‘esser preda’), conquista, monopolizza, schiavizza le persone, che logicamente non possono esser più ‘gente giusta’…”.
Bortoluzzi: Battisti scelse la via dell’introspezione
In definitiva, vale quanto annota nella prefazione Mario Bortoluzzi, musicista e frontman della Compagnia dell’Anello, tentando di rispondere alla domanda se Battisti e Mogol fossero pienamente consapevoli dei contenuti della loro opera: “Sicuramente scrissero da uomini che amavano la libertà e, ad esempio, nella contrapposizione campagna-città, scelsero delle immagini in controtendenza rispetto all’industrializzazione violenta del mondo moderno. Scelsero l’introspezione, il colloquio silenzioso con l’anima. Scelsero un sentiero in controdenza”.