Tarchi e Gotor, due visioni opposte sulla richiesta di dirsi antifascisti. E la fiamma? Che resti pure…

23 Apr 2024 8:56 - di Annalisa Terranova
Gotor tarchi antifascismo

Infuria la polemica all’ombra di un 25 aprile dilatato, la cui essenza ben si presta ad agitare lo spauracchio del fascismo da qui al voto di giugno per l’Europa. Un tormentone che non mancherà di annoiare i più ma che al momento è sotto i riflettori, complice il modestissimo monologo di Scurati che tra un po’ leggeremo pure a messa.

Lo commenta oggi Marco Tarchi sul Foglio, sollecitato da Nicola Mirenzi, facendo notare che la storia della destra ha preso la via opposta a quella descritta da Scurati. Semmai sono proprio le istanze neofasciste che erano presenti nel Msi ad essere state sconfitte: cioè il tentativo di giungere a una pacificazione attraverso il riconoscimento dell’esistenza di un fascismo “buono”. Ciò non è avvenuto ma l’elaborazione di ciò che davvero il Ventennio fu, del suo portato e delle sue ambizioni “rivoluzionarie” resta materia di storici che continuano a scrivere libri su libri su quel periodo, senza annoverare i titoli da stupidario tipo quelli che vorrebbero riallagare le paludi pontine perché la bonifica fatta dal Duce procurò danni ambientali gravissimi… Ciò che Tarchi lamenta è in fondo ciò che auspicavano i giovani missini che organizzavano i Campi Hobbit: più cultura e meno zelo, più studio e meno slogan, più libri e meno nostalgie. Semplice, lineare, e soprattutto veritiero. E Marco Tarchi sa di cosa parla.

Veniamo invece allo scritto odierno di Miguel Gotor su Repubblica. Nel quale l’assessore alla Cultura della giunta Gualtieri ribadisce la necessità per Giorgia Meloni di dirsi antifascista. Egli non è convinto da quanto affermato dal ministro Lollobrigida, secondo il quale l’antifascismo militante degli anni Settanta stroncò giovani vite come quella di Sergio Ramelli rendendo impossibile per la destra riconoscersi in quel perimetro. Dunque Gotor si affanna a dimostrare che le violenze dei neofascisti erano maggiori, e poi vi aggiunge le stragi, in una macabra contabilità dei morti. Lollobrigida, secondo lui, fa comparazioni inaccettabili, poiché il male sta tutto da una parte, il neofascismo, e il bene tutto dall’altra, l’antifascismo.

Ma la questione non è quella: il nodo sta nella violenza. Tanto l’antifascismo che il fascismo che il neofascismo ne fecero uso, uccidendo in nome dell’ideologia (o al servizio di una intelligence deviata). Se Gotor cita lo stragismo nero gli si può facilmente opporre la nascita del brigatismo rosso come continuazione del mito della Resistenza “tradita”. E’ evidente che di questo passo non si va da nessuna parte. E allora? Allora occorre scorporare dall’antifascismo i valori che possono essere comuni, e cioè democrazia, uguaglianza, libertà. In essi ovviamente anche la destra si riconosce. Ma tali valori pre-esistono all’antifascismo e si forgiano semmai nel corso della rivoluzione intellettuale che albergò in Europa nel XVIII secolo.

D’altro canto, poiché Gotor cita il passaggio delle tesi di Fiuggi in cui si riconosce l’antifascismo come momento essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato, è bene ricordare che Giorgia Meloni e la generazione Atreju che la circonda vengono da quella storia e da quel percorso. E non è che si può fare una Fiuggi tutte le volte che Gotor ha il mal di pancia o Scurati fa brutti sogni. Occorre riconoscere agli uomini e alle donne di destra pari dignità rispetto alle altre forze politiche. E qui in deficit di democrazia ci stanno quelli di sinistra che usano l’antifascismo come scusa per non fare passettini in tale direzione.

Infine la questione della Fiamma. Che era nel simbolo di An senza creare grossi pruriti censori mentre oggi pare sconvolgere una sinistra ormai prona alla cultura della cancellazione. Che resti pure, osserva Marco Tarchi. Perché? Perché chi chiede a Meloni di togliere la Fiamma non voterebbe mai il suo partito anche col simbolo modificato. Dunque non si vede la ragione di accontentare gli avversari scontentando i propri elettori. Una ragione pragmatica cui se ne affianca una storica. La Fiamma deriva dal simbolo degli Arditi che si erano distinti per valore e eroismo durante la Grande Guerra. La bara di Mussolini da cui promanerebbe la Fiamma tricolore è una leggenda metropolitana che sarebbe il caso di archiviare definitivamente.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *