L’intervista. Zecchi: “Il voto in condotta utile come primo gradino. Serve un nuovo rapporto tra scuola e famiglie”
“La scuola non è un monolite, si confronta con il mondo esterno, ne fa parte, deve cercare di comprendere se stessa e mettersi in relazione con le famiglie. Scuola, famiglie, ragazzi non sono mondi contrapposti, ma mondi che hanno bisogno di una continua interrelazione”. È da qui, per Stefano Zecchi, che si deve partire per ragionare sulla responsabilizzazione dei ragazzi. Per questo il filosofo considera “il voto in condotta un gradino che deve prevedere altri gradini”.
Professore, cosa pensa della nuova centralità attribuita dalla riforma del voto in condotta al comportamento dei ragazzi?
Che debba rispecchiare la responsabilità dei docenti e delle famiglie. Il voto in condotta, la bocciatura sono utili come ritorno a un aspetto simbolico, ma i tempi sono cambiati e non hanno più il valore che potevano avere quando andavo a scuola io. Secondo me, il punto oggi è non perdere i ragazzi dalla scuola e questo implica una situazione di alta responsabilità nel rapporto tra genitori e scuola stessa. Credo che il vero problema sia che ci sono famiglie che non riescono più a controllare i figli e non si può pensare che le scuole costruiscano quell’educazione che le famiglie non riescono a dare.
Serve un’alleanza tra scuola e famiglie?
Serve un diverso pensiero nel rapporto tra scuola e famiglia, bisogna ripensare le modalità di incontro, il vecchio modello fa acqua da tutte le parti, tant’è vero che si pensa al cinque in condotta. Ma se si arriva al cinque in condotta l’alleanza non c’è più.
Non crede che richiamare i ragazzi alle loro responsabilità, attraverso il principio per cui i comportamenti inadeguati hanno delle conseguenze, possa essere d’aiuto anche per le famiglie?
Il richiamo all’assunzione di responsabilità è senz’altro utile e non è assolutamente dannoso. Ma è un gradino che deve prevedere un’altra salita, altri gradini. Non vorrei che certi misure diventassero espedienti, soluzioni di passaggio.
Cosa pensa dell’impegno in attività socialmente utili per i ragazzi che compiono atti di bullismo?
Che può essere utile, ma anche in questo caso coinvolgendo le famiglie. Se un ragazzo compie atti di bullismo è perché non c’è un’educazione familiare adeguata. Oggi il tradizionale ruolo cruciale dell’educazione familiare non c’è più, i ragazzi sono esposti a una educazione diffusa, anche attraverso i social, che deve spingere a pensare a un nuovo rapporto con le famiglie.
Come immagina questo nuovo rapporto?
Ci vorrebbe la bacchetta magica. Scuola e famiglie devono mettersi intorno a un tavolo. Mia moglie è un’insegnante delle scuole medie, e questa è una delle cose che ho capito da lei. Sui temi dell’inserimento dei ragazzi extracomunitari, per esempio, la sua scuola agisce molto sui familiari, fa loro dei corsi. All’inizio sono riluttanti, poi vogliono andare sempre più convinti. Dovrebbe essere questo, si dovrebbe cercare di capire.