Caro Scurati, una cosa è la propaganda e un’altra la storia. E la Rai non è una sede di partito

21 Apr 2024 15:37 - di Spartaco Pupo

Caro Scurati, il problema non è il contenuto ma la forma. Ed è un problema molto serio, che va oltre le legittime contestazioni di ordine economico che le sono state mosse. Perché i soldi che lei avrebbe intascato dal servizio pubblico, sono di tutti, anche di quelli che la pensano molto diversamente da lei sulla politica e sulla storia. Il problema non è il testo che si era preparato a recitare dietro lauto compenso, in quella che sarebbe stata l’ennesima invettiva pubblica contro il presidente del consiglio, il governo e tutto il mondo politico e culturale della destra, che Giorgia Meloni legittimamente rappresenta, essendo espressione di un voto libero e democratico. Il problema è il mezzo.

Come sa, il “monologo” è una parola composta dal greco monos, che significa “unico”, e logos, “discorso”. È un discorso tenuto da una sola persona che non ammette risposte o critiche e non intende aprire alcun dialogo. Non a caso ha il suo precedente storico più famoso nelle scene teatrali francesi tra ‘400 e ‘500, scene a un solo personaggio, che solitamente era un ciarlatano o un fanfarone, comunque un commediante chiamato a recitare una sorta di autoanalisi, senza interruzioni o minimo contraddittorio.

E no, Scurati, lei è ovviamente libero di coltivare i gusti teatrali che vuole, ma pretendere che tutti siano disposti ad accettare la riduzione acritica della storia al copione di un monologo è roba da pantomima, quella che sta inscenando in queste ore sperando di passare da vittima. L’espediente tecnico escogitato per far penetrare gli spettatori nei meandri del suo giudizio ideologico sulla storia è inadeguato e inaccettabile in democrazia. La Rai non è, o non è più, la sezione del suo partito, benché certe trasmissioni a sfondo culturale continuino ad esserlo. E la storia non è un laboratorio di scrittura creativa o di retorica, in cui lei si esercita quotidianamente.

Vede, una cosa è la propaganda, altra è la storia, specialmente quella cui allude nel copione del suo monologo. Quella è una vicenda che ha diviso gli italiani in una lacerante guerra civile. La storia, come dovrebbe sapere, è una disciplina critica, complessa e mai completa, che si sforza di far capire come si sono svolti i fatti. La storia non deve suscitare emozioni, né mobilitare alla lotta politica o addirittura all’odio ideologico contro una persona. Soprattutto non deve strappare applausi comodi, sicuri, preconfezionati e di parte, come quelli a cui lei ha abituato il suo pubblico. Quella è roba da demagoghi e politicanti travestiti da commedianti.
L’avete fatto per ottant’anni indisturbati, parlandovi addosso su un palcoscenico egemonico che non ammetteva pluralismo alcuno. È ora di prendervi una pausa. Magari sarà anche salutare.

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