Foibe tra memoria e futuro. Convegno a più voci a Roma nella sede della mostra “Una rosa per Norma”
Foibe, esodo, memoria ma anche sguardo al futuro. Affollata la sala che ospita a Roma la mostra fotografica “Una Rosa per Norma” (dedicata alla studentessa istriana catturata dagli slavi, violentata e infoibata), per il convegno promosso dal Comitato dieci febbraio. Un dibattito a più voci, bipartisan, in vista della celebrazione della Giornata del Ricordo. Ad aprire i lavori, conclusi da un saluto di Fabio Rampelli, dopo l’introduzione di Paola Livraghi, componente del Cda delle biblioteche di Roma, Andrea de Priamo, senatore di Fratelli d’Italia, impegnato da molti anni a restituire alla memoria nazionale una pagina tragica di storia oscurata per decenni. Il papà, avvocato Lucio De Priamo, ritrovò e donò i video tutt’ora visibili delle foibe e dell’esodo.
Foibe, convegno a più voci nella sede della mostra Una rosa per Norma
“È bello vedere a venti anni di distanza dall’ approvazione della legge del ricordo che alcune buone pratiche che avviammo alcuni anni fa nella Capitale, come i viaggi degli studenti nei luoghi di foibe ed esodo e la Casa del Ricordo, divengono ora legge”, ha detto De Priamo. “In questo senso il decreto del governo Meloni sul Museo delle foibe che si realizzerà a Roma e il disegno di legge parlamentare sui viaggi del ricordo sono bellissime notizie. E antidoti contro oblio e giustificazionismo che sono sempre in agguato”. L’impegno di oggi è quello di sottrarre questi temi alla polemica politica per evitare che le pagine buie della nostra storia possano ripetersi.
De Priamo: il Museo del Ricordo è un’ottima notizia
La presentazione del libro Foibe, esodo, memoria scritto a quattro mani da Marino Micich, Giovanni Stelli, Pierluigi Guiducci ed Emiliano Loria, è l’occasione per un confronto sul dramma delle foibe e del confine orientale. Che guardi anche al futuro con l’obiettivo di uscire dallo scontro ideologico e ricongiungere il filo spezzato tra le comunità di confine. Un dialogo che è stato possibile per la legge che ha istituito venti anni fa la Giornata del Ricordo grazie a un cartello trasversale, come ricorda Ettore Rosato, parlamentare di Azione, presente al convegno. “Da sinistra lavorammo di concerto con il senatore Menia per approdare al provvedimento. In aula ci fu un voto quasi unanime”.
Salimbeni: fu un’operazione pianificata dal Partito comunista jugoslavo
Lo storico Lorenzo Salimbeni ha passato in rassegna le tappe che portarono agli eccidi delle foibe, un’operazione pianificata. Una prima ondata nel ’43, dopo l’8 settembre, che nacque come una sorta di insurrezione spontanea contro il fascismo. “Il Partito comunista jugoslavo ebbe un ruolo centrale nell’invasione delle milizie slave che spadroneggiarono per un mese, dopo essere arrivate a Trieste e Gorizia fino alla Dalmazia, ci furono 1000 vittime in un territorio piccolo”. Salimbeni ha ricordato il clima di paura tra gli istriani, il terrore di sentirsi bussare alla porta di casa, il dramma “di non sapere dove finisce un familiare portato via con la forza. Poi il primo ritrovamento del corpo degli infoibati da parte dei vigili del fuoco. Poi la seconda ondata, ancora più drammatica nel ’45. Si voleva colpire la presenza dello Stato italiano, un’intera comunità perché italiana”.
Micich: se siamo qui lo dobbiamo alle associazioni
Anche Marino Micich, da vent’anni protagonista della crociata della memoria contro l’oblio, ha ricordato la genesi della legge del 2003, il lavoro ostinato e prezioso delle tante associazione di esuli impegnate nella testimonianza e nella riesumazione dei resti delle vittime delle foibe. Con uno sguardo al presente senza nessun nostalgismo, per riallacciare e intensificare i rapporti con Slovenia e Croazia. Autore di molti saggi, direttore dell’Archivio-Museo storico di Fiume, ha ricordato l’impegno in tempi non sospetti di Azione universitaria (organizzazione giovanile di Alleanza nazionale) alla Sapienza, citando convegni coraggiosi.
La testimonianza toccante dell’esule Claudio Smareglia
Particolarmente emozionante, qualche lacrima in sala, la testimonianza di Claudio Smareglia figlio di un esule antifascista, che abbandonò tardissimo le sue terre. Solo quando da professore, nel ’47, gli impedirono di insegnare Dante Alighieri a scuola. “Insegno Dante perché sono italiano”, rispose quando si sentì dire che nelle aule si doveva parlare solo del Maresciallo Tito. “Mio papà cercò di rimanere fino all’ultimo, partì con mia mamma incinta di me. Fu incarcerato perché italiano, marchiato come nemico del popolo”.
Ho vissuto per 7 anni in un silos a Trieste
Smareglia racconta la sua vita da piccolo esule, “facevamo letteralmente la fame, ho vissuto per sette anni in un silos a Trieste, dove d’inverno si gelava di freddo e d’estate si moriva dal caldo. Mia madre faceva la cuoca in nero, papà insegnava ma non aveva più i titoli. Non potevamo uscire, avevamo il coprifuoco”. Poi la rinascita a Mestre negli anni ’60, il boom economico, la professione in giro per il mondo, l’arrivo a Roma. “Abbiamo finito di fare la fame – racconto commosso – mi vanto che noi istriani non siamo mai stati delinquenti, ci siamo rimboccati le maniche. I miei genitori non parlavano mai del passato”. Troppo dolore.
“Vorrei solo che la nostra tragedia diventi storia”
“Verso i 50 anni ho iniziato a fare dei bilanci e mia mamma ha iniziato a parlarmi di quelle cose terribili. Noi eravamo italiani più degli altri perché eravamo di confine”. Smareglia, che è riuscito a tornare in quelle terre solo alla fine degli anni ’90, non chiede vendetta, nessun revanchismo né odio verso i ‘fratelli slavi’. “Ma non mi raccontate la storia dell’orso. Vorremmo solo che la nostra tragedia non sia più affrontata politicamente ma considerata storia”. Spegne il microfono, si siede piangendo e viene applaudito per qualche minuto dal pubblico in sala, giovanissimi in prima fila.