Confindustria, corsa a 4 con convergenze a destra: dal “no” al Green Deal al Piano Mattei

20 Feb 2024 14:35 - di Luca Maurelli

Se tre indizi fanno una prova, il mistero del Green Deal – forse perfino più intricato di quello del Sacro Graal – sta per essere risolto. C’è una strana triangolazione in atto tra Europa, governo Meloni e Confindustria che ha per oggetto proprio il tanto strombazzato patto per l’ambiente su cui la Ue, e la sua maggioranza di centrosinistra, dal 2021 hanno incardinato il piano di ripresa dell’economia europea post-Covid, con scarsi risultati, su cui un po’ tutti concordano. A cominciare dal governo di centrodestra italiano, che aveva vinto le elezioni anche scardinando i dogmi dell’integralismo ambientalista che ha finito per abbassare, più che l’effetto-serra, il profitto e gli investimenti del comparto industriale, costretto a mettersi frettolosamente a norma sui paletti severi delle emissioni, con frizzi e sghignazzi dei colossi cinesi e indiani, che di quelle pulsioni ambientaliste non sentono neanche il solletichino sulla pelle.

Green Deal, il “mea culpa” della Von der Leyen che spalanca un’autostrada…

Ma è di ieri anche il “mea culpa“, con annessa retromarcia, del presidente della Ue Ursula Von der Leyen, che ha annunciato la sua ricandidatura mettendo curiosamente al primo posto dei suoi programmi un “no” invece che un “cosa e come”: un no che è un forse, magari, ma che riguarda proprio quel caposaldo del progressismo europeo sul rapporto tra impresa e ambiente, il Green Deal che oggi, su tutti i giornali, viene dato come superato dalla commissaria uscente (e aspirante rientrante): ieri, dopo il suo pentimento sul patto per l’ambiente, ha immediatamente incassato il commento entusiastico del “popolarissimo”, in senso politico, Antonio Tajani, che proprio grazie a questa svolta anti-ideologica di Ursula conta di portare anche la Meloni sul fronte di una futura maggioranza moderata, che lasci fuori gli estremi, a destra.

La linea sottile che va dalla difesa all’ambiente

Perché insieme all’impulso sulla Difesa comune, anche la frenata dell’amica Von der Leyen sulle emissioni e gli scarichi delle industrie rappresenta per Giorgia Meloni un argomento ghiotto per ragionare su una intesa in stile-Merkel. E che c’entra Confindustria? C’entra, eccome. Il triangolo no, la Von der Leyen non l’aveva considerato, ma da ieri, con l’ufficializzazione dei quattro candidati in corsa per la presidenza degli industriali italiani e la divulgazione dei loro programmi, la prima cosa che si nota è la convergenza a destra, se non perfino la saldatura, sulla svolta da imprimere per ridare slancio alla crescita europea, alle politiche di “condivisione” delle regole sull’ambiente tra politica e impresa. “Meno Green Deal e meno ideologia“, titola oggi Repubblica sugli industriali. Non a caso, il primo annuncio dei quattro candidati che hanno superato il primo quorum elettorale e si apprestano ad essere portati a consultazione nelle sedi confindustriali di tutta Italia – Edoardo Garrone, Antonio Gozzi  Alberto Marenghi ed Emanuele Orsini – è stato la presentazione del dossier di un centinaio di pagine, “Fabbrica Europa. Le proposte di Confindustria per un’Europa competitiva” da parte del quasi past president Carlo Bonomi, nel quale uno dei punti principali è proprio il Green Deal.

I punti di convergenza con il governo sulla Ue

“E’ necessario affiancare al Green Deal una politica industriale europea per restare al passo nella corsa globale alle tecnologie del futuro. E bisogna completare l’integrazione dei mercati dell’energia elettrica, creare un mercato unico del gas e sviluppare una strategia europea per l’energia nucleare. Nonché promuovere l’economia circolare e la simbiosi industriale nei modelli di business…”., è scritto nel documento di viale dell’Astronomia, speculare alla piattaforma dei conservatori italiani ed europei sul tema dell’ambiente e della crescita. C’è feeling, magari involontario, ma certamente oggi Viale dell’Astronomia manifesta, nella sua presidenza uscente e in quella che va a formarsi da qui ad aprile, una affinità sui temi della destra di governo e una distanza sempre più marcata rispetto all’approccio ideologico del Pd e dei grillini.

Musica per le orecchie della Meloni, e non solo sul “verde”: basta leggere qualche passaggio di Gozzi, che ammonisce su come l’Europa  sia a rischio deindustrializzazione “perché ha trasformato desideri astratti in obblighi concreti”, di Marenghi, secondo cui “l’Europa non può distruggersi per un’ideologia”, di Garrone che parla di taglio del cuneo e maggiore coinvolgimento delle imprese nel Pnrr mentre gli stessi Gozzi e Marenghi citano esplicitamente il Piano Mattei del governo Meloni come un’opportunità. Il programma di Alberto Marenghi, poi, è riassunto in 10 pagine con un titolo, “Orgoglio Italia”, di estrazione patriottica mentre Emanuele Orsini inserisce nelle sue linee guida “dialogo, identità e unità”. Un caso, certo.

Nessun endorsement politico-imprenditoriale, né in una direzione né nell’altra, sia chiaro, l’autonomia di Confindustria, come quella del governo, è sacra. Ma nel gioco delle triangolazioni qualche sponda a destra, volontariamente o per qualche strana coincidenza, è certamente più visibile del Sacro Graal.

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