Calabria, il piano Marshall del governo dopo decenni di sprechi, clientele e aiuti di Stato

16 Feb 2024 17:37 - di Mario Campanella

Per capire la portata dell’accordo siglato oggi in Calabria da Giorgia Meloni con il presidente Roberto Occhiuto bisognerebbe tornare ai tempi della Cassa per il Mezzogiorno che, pur tra sprechi e clientele, fu l’unica azione capace di promuovere infrastrutture nella regione più povera. Oppure ricordare quanto fecero i governi Monti e Gentiloni, che si ripresero fette importanti dei soldi europei per destinarli ad altre cose. Quella Calabria che ha avuto grandissimi uomini politici, da Giacomo Mancini, il più amato, a Riccardo Misasi e Dario Antoniozzi, e che aveva uno spessore non indifferente nello scacchiere politico nazionale.

La svolta del governo Meloni per il Sud

Giorgia Meloni porta in dote 2,6 miliardi di euro. Un intervento strategico che consentirà di intervenire sul dissesto idrogeologico, sul settore idrico, sull’ambiente e sui beni culturali.
Si tratta della somma più alta mai ricevuta dalla Calabria sui fondi strutturali e questo in un quadro che comprende una serie di interventi collaterali che è opportuno ricordare: il Ponte sullo Stretto, l’alta velocità che chiuderà il raccordo Salerno – Reggio Calabria, il completamento delle tratte autostradali che Matteo Renzi imprudentemente aveva inaugurato come opera finita ai tempi in cui era a Palazzo Chigi.

Il paragone con i decenni precedenti

Se la questione meridionale parte dalla regione più povera bisognerebbe fare una comparazione tra quanto destinato da Meloni e Fitto e quanto accaduto nei decenni precedenti. Sia il governo Berlusconi nel 2010, sia soprattutto quelli successivi, ritirarono parte dei fondi di coesione per utilizzarli come compensazione del debito sanitario monstre costruito tra fine anni novanta e inizio anni duemila in Calabria. A tutto questo vanno aggiunti i soldi del Pnrr e le opportunità della Zes. Proprio Gioia Tauro ospita il porto più importante del Mediterraneo che le direttive europee vorrebbero ridimensionare. Ha detto bene Wanda Ferro, sottosegretario agli interni e coordinatore di FdI in Calabria, quando ha ricordato i 50 milioni di euro complessivi messi a disposizione della Regione per adattare i beni confiscati alla ndrangheta e restituirli alla comunità collettiva.

L’equazione falsa tra mafie e grandi opere pubbliche

Sin dagli anni sessanta, quando Mancini accelerò la realizzazione dell’autostrada, si è sempre collegato l’uso di grandi risorse pubbliche nella regione con il rischio dell’infiltrazione mafiosa. Un sillogismo sterile, perché immaginare una terra senza sviluppo sarebbe di per sé un regalo alle cosche.
Ma il dato che emerge più significativamente è l’investimento che il governo Meloni effettua un una realtà resa difficile e tortuosa più dalla burocrazia e dalla mancanza di visione politica che da altri alibi.
La programmazione sul dissesto, nella terra più sismica d’Italia , è lo specchio della strategia messa in campo. L’indotto potenziale in termini di occupazione è quantificabile in decine di migliaia di posti di lavoro in più in pochi anni.

Ora inizia la sfida per non perdere un euro

La Calabria della seconda Repubblica ha sempre contato poco nelle dinamiche politiche e nella ricaduta sugli obiettivi da raggiungere. Oggi si segna una svolta che ora ha bisogno di una capacità di spesa efficiente che riguarda, però, le responsabilità locali. I meridionalisti anni novanta criticavano legittimamente l’assurda equazione tra incapacità di spesa e presenza della criminalità. Erano gli anni in cui l’Irlanda , circondata dall’incubo terrorismo, spendeva il 100% dei soldi che arrivavano da Bruxelles, mentre la Calabria non raggiungeva il 30%. Adesso si tratterà di non perdere un euro e di completare un piano di interventi che è una sorta di Marshall su scala ridotta. La migliore risposta agli sceriffi del nulla autoproclamatisi improbabili difensori del Sud.

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