Maxiprocesso ai Casamonica: la Cassazione conferma le accuse di mafia, respinti i ricorsi

16 Gen 2024 19:36 - di Alessandra Parisi

Il clan Casamonica è mafia. A sancirlo è la Cassazione, con la sentenza, molto attesa, che conferma nel maxiprocesso l’accusa di 416bis. I giudici della seconda sezione penale, esprimendosi sui ricorsi degli oltre trenta imputati, hanno sostanzialmente confermato l’impianto accusatorio. E accolto il ricorso della Procura generale riconoscendo anche l’aggravante dell’associazione armata per alcune posizioni di vertice. Per le quali è stato disposto un appello bis solo sul punto per rideterminare la pena. Caduta l’aggravante di aver agito nell’interesse del clan invece per posizioni di secondo piano.

Maxiprocesso ai Casamonica, la Cassazione conferma: è mafia

I giudici della Corte d’Appello di Roma il 29 novembre del 2022 hanno ribadito l’accusa di 416bis. La condanna più alta, a 30 anni, stabilita dai giudici di secondo grado, era andata a Domenico Casamonica, ai vertici del clan romano. “Il gruppo criminale Casamonica, operante nella zona Appio-Tuscolana di Roma, con base operativa in vicolo di Porta Furba è organizzato in una ‘galassia’”, si legge nella sentenza dei giudici, “ossia aggregato malavitoso costituito da due gruppi familiari dediti ad usura, estorsioni, abusivo esercizio del credito. Nonché a traffico di stupefacenti, dotato di un indiscusso ‘prestigio criminale’ nel panorama delinquenziale romano. I singoli operavano tuttavia in costante interconnessione e proteggendosi vicendevolmente. Così da aumentare il senso di assoggettamento e impotenza delle vittime, consapevoli di essere al cospetto di un gruppo molto coeso ed esteso”.

La condanna più alta a 30 anni è per il capo del clan romano

In primo grado, il 20 settembre 2021, erano state comminate 44 condanne per oltre 400 anni carcere. Al maxiprocesso si è arrivati dopo gli arresti compiuti dai carabinieri del Comando provinciale di Roma nell’ambito dell’indagine ‘Gramigna’, coordinata dal magistrato Michele Prestipino e dai sostituti procuratori Giovanni Musarò e Stefano Luciani. Con la sentenza i giudici hanno confermato l’esistenza di una associazione parallela dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti, con funzione agevolatrice dell’associazione mafiosa. Confermate inoltre le statuizioni di colpevolezza per i reati fine dell’associazione finalizzata allo spaccio e di quella di stampo mafioso, questi ultimi costituiti da usure, estorsioni, esercizio abusivo del credito, detenzione di armi e trasferimento fraudolento di valori.

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